Alla radice della tempesta perfetta

Dopo anni di deregulation e decenni di scarsi controlli e di sfiducia nei sistemi di prevenzione e di controllo e vigilanza sugli intermediari, la crisi del credito è scoppiata negli Usa e si è estesa a tutto il mondo sviluppato.

ORIGINI CHIARE
La “perfezione” di questa tempesta epocale, se vogliamo utilizzare un termine abusato, sta, a mio avviso, nella chiarezza delle sue origini e nel suo lento ma inesorabile procedere, come la moviola di una punizione che vede il portiere immobile e attonito tra i pali mentre il pallone passa tutte le fragili barriere e va inevitabilmente a rete.
La prima versione del piano da 700 miliardi di dollari è stato giustamente bocciata dal Congresso americano (sebbene anche per ragioni elettorali) poiché basta il semplice buon senso per capire che non si può chiedere a una nazione di farsi carico di disastrosi effetti economici quando le cause dei medesimi non vengono neppure sfiorate.
Le cause della crisi sono i default sui mutui che hanno, a monte, la deregulation creditizia, che ha permesso di dare credito di infima qualità (no-doc mortgages) senza capacità patrimoniale e, a valle, la deregulation finanziaria che ha consentito di impacchettare quei medesimi mutui in titoli strutturati – Mbs, Cdo, Cdo-squared, e così via – e di venderli, con leverage altissimi (1), senza alcuna trasparenza, al risparmiatore retail, che, alla fine, è il prestatore di ultima istanza del sistema.

UN PIANO ALTERNATIVO
I mutui subprime e Alt-A, vale a dire le fasce più rischiose dei prestiti immobiliari, ammontano, rispettivamente, a circa 850 e 1000 miliardi di dollari.
Immaginando che mille miliardi siano stati cartolarizzati, vale a dire inclusi in titoli finanziari, e che il tasso di default prospettico sia del 50 per certo, ma al momento pignoramenti e ritardi nei pagamenti delle rate sono intorno all’8 per cento dei mutui totali, si ha una cifra di circa 500 miliardi.
Al tasso d’interesse del 7 per cento per una durata di dieci anni, l’ammontare si traduce in circa 70 miliardi di dollari di rate annue.
Un intervento su tutti i 1.850 miliardi di mutui significa garantire circa 260 miliardi di rate annue.
Pertanto, un effettivo Troubled Assets Relief Program dovrebbe disinnescare le due vere cause della crisi: ri-regolare i mercati – quello che Henry Paulson non ha fatto nel Blueprint for Regulatory Reform di marzo. E aiutare le famiglie incapienti con debiti immobiliari – quello cha Paulson non ha fatto in settembre.
In particolare, per ricreare fiducia e far ripartire il normale funzionamento dei mercati occorre una chiara e vincolante ri-regulation sugli attivi (valutazione dei rischi sui prestiti e conseguenti regole di adeguatezza del capitale), sui passivi (trasparenza e principi di corretta valutazione), su tutti gli intermediari finanziari, da sottoporre tutti a vigilanza (banche ma anche società finanziarie, di leasing, factoring e credito al consumo), sui mercati (incentivando il passaggio degli scambi dagli abnormi mercati over-the-counter ai mercati regolamentati).
Su questi aspetti gli Usa e la stessa Europa possono trovare in Italia qualche riferimento importante: si pensi, da un lato, alla BI-Centrale dei rischi, istituita già nel 1962 e recentemente estesa anche ai microcrediti, e dall’altro al Regolamento emittenti elaborato da Consob.
In secondo luogo, un piano di agevolazioni immobiliari alle famiglie avrebbe molteplici effetti positivi:
1) darebbe garanzie sui sottostanti dei derivati creditizi eliminando la causa prima della crisi;
2) costerebbe meno e in misura diluita nel tempo;
3) disinnescherebbe l’effetto domino che sta abbattendo gli intermediari;
4) agirebbe come misura anticiclica nella fase pre-recessiva in cui si trova l’economia americana.
Naturalmente, un tale piano, come, del resto, qualunque alternativa, richiede tempo e presenta difficoltà nell’individuare le famiglie effettivamente bisognose di aiuto. Tuttavia l’effetto positivo sui mercati sarebbe immediato e, in ogni caso, appare più facile valutare l’effettiva capacità di reddito di un mutuatario che il vero valore di un “toxic asset” costituito da credit derivatives di cui non si conoscono i sottostanti.

IL PIANO APPROVATO
In alternativa a un piano di interventi “reali” a favore delle famiglie indebitate coi mutui-casa, sono stati proposti altri piani “finanziari”, incentrati sugli intermediari, come la rinegoziazione/allungamento dei debiti; la trasformazione dei debiti in azioni; l’acquisizione dei troubled assets da parte dello Stato.
Nella versione finale del piano americano, approvata venerdì 3 ottobre, l’originaria ricetta “statalistica” è stata in parte emendata con elementi delle altre visioni, serviti soprattutto per arrivare all’approvazione di non più 700 bensì 850 miliardi di dollari.
Invece delle cause, si è dunque puntato a rimediare agli effetti della crisi con la “socializzazione delle perdite” degli intermediari e la solita “privatizzazione” delle difficoltà economiche delle famiglie. La novità è che, con l’approvazione del piano, nasce, al di là dell’Atlantico, lo Stato banker-broker-market maker. Avendo constatato che due errori non fanno una verità, si prova con tre.

(1) Rapporto debito/equity fino a 40 contro l’usuale 12.

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