Deflazione: il nome del prossimo spauracchio dei mercati finanziari

Data la situazione attuale infatti, con il sistema bancario in pieno “credit crunch” (una volta si chiamava “trappola della liquidità”), cioè la pressoché totale paralisi dell’attività di trasferimenti monetari da un istituto ad un altro (e in sempre maggiori casi anche da un istituto ai propri clienti), quello che sta accadendo è una “stretta monetaria”, cioè una sempre minore disponibilità di mezzi finanziari, di dimensioni estremamente considerevoli. A questo si aggiungerà nei prossimi mesi un settore bancario “dimezzato” rispetto al passato, con molta minore flessibilità operativa e quindi minori possibilità di finanziamento a imprese e privati.

Da tutto quanto precede, è facile ipotizzare che quanto sta succedendo avrà certamente ripercussioni molto significative sull’economia reale di Stati Uniti ed Europa, con un forte rallentamento sia dei consumi, sia degli investimenti. Se a questo si aggiunge che l’andamento delle materie prime potrebbe continuare la tendenza negativa degli ultimi due mesi (anche grazie alla speculazione che da rialzista sta rapidamente diventando ribassista), lo scenario di prezzi al consumo in discesa (cioè deflazione), che solo tre mesi fa sembrava del tutto irrealistico, potrebbe diventare molto presto quello più probabile.

Contrariamente a quanto molti potrebbero pensare (visto che si parla sempre di crescita dei prezzi con accezione negativa), la deflazione è un male ancora peggiore dell’inflazione. Un’economia che entra in deflazione infatti spinge naturalmente ad una riduzione nei consumi (visto che i prezzi scendono si tende a rimandare nel tempo l’acquisto dei beni), impedisce per definizione la possibilità di stimoli monetari (in deflazione i tassi sono già vicini allo zero e quindi non li si può abbassare ulteriormente) e riduce i margini di profitto delle imprese (quando i prezzi dei beni scendono è molto difficile far scendere p.es. gli stipendi e i costi generali, di conseguenza i margini di profitto tendono ad assottigliarsi sempre più).

Infine, come mostra l’esempio del Giappone, combattere la deflazione è estremamente difficile, proprio perché si ha in pratica un solo strumento (la politica fiscale), mentre la politica monetaria diventa di fatto assai poco efficace.
In conclusione, volendo terminare con una nota parzialmente ottimista per gli investitori obbligazionari; dopo anni di aumento dei tassi (e conseguente calo dei prezzi delle obbligazioni), dopo il crollo delle quotazioni dei bond corporate e financial e dopo i mesi di stagflazione, una fase di deflazione potrebbe se non altro consentire strategie che puntino sulla rivalutazione dei titoli a reddito fisso (a patto ovviamente che abbiano un merito di credito sufficientemente elevato per superare la fase di rallentamento economico).

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