A più di un operatore a Wall Street e a molti investitori, istituzionali e non, a sentire i discorsi di Kamala Harris sono ultimamente venuti i sudori freddi: la neo candidata democratica alle presidenziali Usa ha a più riprese accennato a delle possibili tassazioni sui capital gains, con un tasso del 44,6% che sarebbe il più elevato dal 1922.
Non solo. La Harris ha introdottoo anche il concetto di una potenziale tassazione al 25% dei capital gains non realizzati per gli investitori più abbienti (Gates, Bezos, Musk e Zucky, sono avvisati….).
L’unrealized capital gain è un concetto innovativo che mira a tassare l’incremento di valore degli asset prima che vengano effettivamente venduti. In maniera molto semplice, se noi investiamo 100.000 euro su un titolo azionario o un ETF, con il suo aumento di valore del 10% ci troveremo ad avere 110.000 euro (ad esempio). Quei 10mila euro sono “guadagni non realizzati” in quanto “virtuali” fintanto che non andremo a monetizzare vendendo lo strumento acquistato.
Inoltre l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti ha proposto di aumentare l’aliquota fiscale sulle società al 28% dal 21% se vincerà le elezioni di novembre contro il rivale repubblicano Donald Trump.
Non proprio il miglior viatico per incentivare gli investimenti in azioni americane…