Le valutazioni degli asset di rischio generalmente non sono attraenti. Il contesto sta peggiorando nella maggior parte dei paesi del G20 – con prospettive di soft landing – con due punti deboli: la Germania, che sta affrontando una crisi economica che mette insieme problemi ciclici e strutturali con una contrazione della domanda interna, e la Cina, dove l’economia continua a registrare una debolezza maggiore del previsto. Negli Stati Uniti, la velocità con cui il mercato del lavoro si sta poi indebolendo sta causando qualche preoccupazione, alimentando il dibattito sul rischio di recessione. Gli utili di NVIDIA potrebbero segnalare la fine della fase di accelerazione di spesa sull’intelligenza artificiale che aveva innescato una sorta di frenesia del mercato azionario. Sebbene l’IA prometta grandi guadagni di produttività futuri, finora ci sono poche prove di ciò anche nelle aziende meglio posizionate. L’incertezza politica ha continuato a crescere con l’avvicinarsi delle elezioni negli Stati Uniti e Francia e Germania stanno affrontando il rischio di un maggiore stallo politico, nonostante l’urgente necessità di agire (rispettivamente in materia di bilancio ed economia).
In questo scenario, ecco di seguito la view in ottica di asset allocation di Benjamin Melman, Global CIO di Edmond de Rothschild AM.
La Fed verrà in soccorso?
Tutti gli occhi sono puntati sul mercato del lavoro degli Stati Uniti, che si sta indebolendo a un ritmo insolitamente rapido e sta iniziando a preoccupare gli investitori e la FED. Il discorso di Powell a Jackson Hole ha aperto molte possibilità per la politica monetaria: l’occupazione è diventata la priorità assoluta, ora che l’inflazione è praticamente storia antica. I tagli ai tassi potrebbero, potenzialmente, essere considerevoli. Secondo il dot plot della Federal Reserve, il tasso a lungo termine (o neutrale) sarebbe del 2,75%, 2,5% sopra i livelli attuali. Se l’inflazione non è più un problema e la Fed desidera rilanciare il mercato del lavoro, un ritorno al tasso neutrale – o addirittura inferiore – potrebbe essere fattibile. Tuttavia, l’incertezza politica sarà un ostacolo per la banca centrale. Ad esempio, se Donald Trump vincesse le elezioni, procederà ad applicare il suo programma inflazionistico? Sembra altamente possibile che la Fed scelga di tagliare i tassi in modo proattivo prima della fine dell’anno, forse più di quanto i mercati si aspettino oggi, per garantire di non essere in ritardo sul ciclo economico. Prenderebbe quindi una posizione più cauta il prossimo anno mentre valuta la nuova politica economica del paese. Tuttavia, uno scenario del genere è tutt’altro che scontato, a giudicare dalle dichiarazioni fatte dai membri della banca centrale.
Il dato sull’occupazione
L’occupazione non è un indicatore principale per il ciclo; al massimo, è concomitante, e il suo deterioramento non è stato corroborato dagli indicatori economici (secondo le Nowcasts, la crescita è intorno al 2% nel terzo trimestre). Quindi, la questione centrale per l’economia degli Stati Uniti sembra essere la leggibilità piuttosto che la direzione effettiva. Inoltre, i margini aziendali resilienti non hanno indicato alcun meccanismo di ristrutturazione che annuncerebbe un ciclo di licenziamenti. Riteniamo che i rischi di recessione debbano forse essere relativizzati, soprattutto perché il rubinetto del credito si sta allentando.
Il ritorno dell’impulso del credito
Sia negli Stati Uniti che in Europa, come corollario dell’inasprimento monetario, le banche hanno drasticamente ristretto i loro standard di prestito e si è osservata una contrazione del credito bancario su entrambi i lati dell’Atlantico. Infatti, con il ritorno di tassi d’interesse elevati, le banche depositarie – che negli ultimi anni avevano sofferto di mancanza di opportunità – hanno potuto ripristinare la loro redditività senza dover assumere rischi di credito considerevoli. La prospettiva di tagli ai tassi e l’assenza di una recessione hanno ora spinto le banche a riprendere i loro prestiti. Il passaggio da un impulso di credito negativo a uno positivo fungerà da vento favorevole per l’economia.
I Paesi emergenti si distinguono
Divisi tra il forte inasprimento della politica monetaria da parte della Fed e il crollo della Cina, gli investitori si sono naturalmente tenuti alla larga dai mercati emergenti per qualche tempo. Ma i tempi stanno cambiando. La Fed è entrata in un nuovo ciclo. Sebbene la situazione in Cina rimanga difficile, il graduale riassorbimento della crisi immobiliare suggerisce che il peggio dell’inversione di tendenza potrebbe essere alle spalle. Inoltre, ora che diversi Paesi sviluppati sembrano aver perso il controllo delle proprie finanze nazionali (Stati Uniti, Francia…) e si trovano ad affrontare un populismo in ascesa, che difficilmente offrirà soluzioni praticabili, i Paesi emergenti sono rimasti per lo più fedeli al “Washington consensus” (strumentario di politica economica ortodossa), con alcuni Paesi come l’Argentina o la Turchia che ora stanno attivamente attuando politiche che contribuiranno a ristabilire la loro posizione.
Scelte di posizionamento
Gli attuali mercati offrono quindi un potenziale rialzo, ma alla luce delle numerose incertezze, la nostra strategia direzionale è oggi ampiamente neutrale e stiamo riducendo tatticamente il peso azionario. Il principale orientamento regionale della nostra asset allocation è un sovrappeso sui Paesi emergenti – Cina esclusa per quanto riguarda le azioni, anche se la nostra view sul mercato cinese non è negativa. Nell’ambito della nostra esposizione azionaria, continuiamo a sovrappesare le small cap europee, in quanto riteniamo che, sebbene il contesto economico sia attualmente poco promettente, le condizioni di prestito più allentate e i tagli dei tassi della BCE sosterranno una rivalutazione. I nostri temi preferiti restano i big data e l’healthcare, per assicurarci di essere ben posizionati in caso di rallentamento.