Dollaro in rally: ecco cosa comporta per azioni e bond secondo JP Morgan AM

Se, da un lato, i fondamentali sostengono un dollaro forte, dall’altro ci si chiede: il rally è stato esagerato? “In quanto investitori, è importante valutare in che misura siano possibili ulteriori apprezzamenti rispetto ai rischi di una correzione, se si considera l’andamento più in generale dell’economia globale e la sostenibilità del percorso delle attuali politiche statunitensi”. Ad affermarlo sono gli esperti del team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di JP Morgan AM, che di seguito spiegano nei particolari la view.

Fondamentali

L’analisi dell’attuale contesto indica che, in base ai fondamentali, gli Stati Uniti continuano a essere una destinazione interessante per gli investitori. La vittoria di Donald Trump amplifica la tesi dell’eccezionalismo del dollaro, con la previsione di una serie di iniziative a favore delle imprese che dovrebbero rafforzare il clima di fiducia del mercato. Inoltre, la schiacciante vittoria repubblicana apre la strada all’attuazione di politiche fiscali incentrate su una maggiore spesa e una minore tassazione tese a stimolare la crescita economica.

Sul versante opposto, la natura “aperta” dell’economia europea espone il Vecchio Continente alle perturbazioni degli scambi globali, soprattutto se si considera che sui dazi pende la minaccia della nuova amministrazione Trump. La Cina è alle prese con una serie di difficoltà: bassa produttività, normativa stringente e un programma di politiche fiscali che tentano di compensare la riduzione dell’indebitamento nel mercato delle abitazioni.

Continuiamo a dubitare che le misure di stimolo cinesi basteranno a bilanciare tali problemi. Il mercato ha dato credito a questa tesi e la risposta è stata forte, come evidenzia il fatto che i flussi dei capitali privilegiano gli Stati Uniti rispetto al resto del mondo. Questa svolta ha spinto al rialzo il dollari index (DXY) che ha guadagnato oltre il 3% dal giorno delle elezioni.

Valutazioni quantitative

Dalla fine di settembre, il DXY ha subito un’impennata, toccando massimi che non si registravano da oltre un anno e il suo posizionamento implicito sul Dollaro tramite le opzioni ha raggiunto il livello più alto da ottobre 2023. Gli investitori real money alimentano questa dinamica perlopiù tramite posizioni corte in dollari canadesi ed euro.

Sulla scia della vittoria repubblicana, anche le azioni e le obbligazioni statunitensi hanno registrato un rally: l’S&P 500 ha raggiunto massimi storici, ottenendo il miglior rendimento di un anno elettorale dagli anni Trenta, mentre gli spread dei titoli statunitensi Investment Grade si sono ristretti a livelli mai visti negli ultimi vent’anni.

È evidente che tutti gli attivi statunitensi hanno toccato in molti casi livelli di rilievo sulla scia della promessa di una minore pressione fiscale e di politiche di deregolamentazione, mentre al di fuori del mercato azionario statunitense i rendimenti sono stati mediocri.

Crediamo che queste dinamiche siano probabilmente esagerate e che il mercato stia sottovalutando il rischio di dazi universali o di un crescente disavanzo, teso a promuovere politiche repubblicane di stimolo alla crescita. Anche il rialzo dei rendimenti dei Treasury potrebbe cominciare a danneggiare gli attivi rischiosi, limitando i guadagni in dollari Usa.

Fattori tecnici

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un significativo afflusso di capitali verso il mercato azionario statunitense ad opera di investitori sia nazionali che europei. Al contrario, il volume delle vendite di azioni europee nelle ultime settimane ha eguagliato l’ondata di liquidazioni osservata nel 2022 e, se dovesse proseguire, potrebbe raggiungere gli estremi registrati durante la crisi del debito sovrano dell’Eurozona. Poiché di norma gli investimenti azionari non sono completamente coperti dal rischio di cambio, questa dinamica ha contribuito al forte afflusso di capitali verso il dollaro.

Sebbene il rafforzamento del dollaro possa davvero ridurre il costo delle importazioni, attenuando potenzialmente alcuni effetti dei dazi annunciati, è importante riconoscere che il panorama è cambiato. Gli Stati Uniti sono ormai un importante esportatore di petrolio e una grande percentuale di beni globali è fatturata in dollari; ciò significa che un dollaro più forte potrebbe non esercitare sull’inflazione la stessa pressione al ribasso di una volta.

Cosa significa per gli investitori obbligazionari?

Nelle ultime settimane, il mercato ha fatto molta strada: gli investitori hanno analizzato i fondamentali e hanno assunto un posizionamento lungo in dollari rispetto ad altre valute globali, raggiungendo il picco di quest’anno. Gli attivi statunitensi hanno toccato diversi di livelli di rilievo in tutti i settorie siamo convinti che l’eccezionalismo statunitense e il “Trump Trade” siano ampiamente scontati dal mercato.

Pertanto, tenendo conto sia delle valutazioni che dei fattori tecnici, oltre che dei fondamentali, scorgiamo un’opportunità per sottopesare il dollaro in chiave tattica rispetto al resto del mondo.

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