Il rendimento storico medio di un indice finanziario rappresenta il parametro più utilizzato per pianificare l’evoluzione futura di un investimento.
Questa informazione va però accuratamente scelta utilizzando la media corretta e soprattutto deve tenere conto di un correttivo poco appariscente ma decisamente fastidioso (e soprattutto costoso).
Il responsabile di questo onere occulto al quale nessuno può sottrarsi e che non si chiama TER (o spese correnti all’italiana), è la volatilità e il suo impatto può essere molto più alto del costo dello strumento finanziario.
Uno degli errori più comuni che commettiamo come investitori è quello di prendere grossolanamente il rendimento calcolato con la media aritmetica di una certa asset class e arrivare alla conclusione che, per esempio nell’arco di un periodo di 20 anni, X ha reso mediamente l’Y%. Classico errore è quello di prendere i 20 rendimenti annuali dell’azionario, sommarli e dividere per 20 ottenendo una media semplice.
Il rendimento effettivo di un investimento finanziario non si misura purtroppo con una semplice media aritmetica e già nell’articolo dedicato alla sequenza dei rendimenti vi ho spiegato quanto importante è la volatilità.
Prima di spiegare come si converte un rendimento medio nel vero rendimento di un investimento, dobbiamo però riprendere il concetto di volatilità.
La volatilità è quella sanguisuga che, al pari dell’inflazione, erode una parte del rendimento medio di un investimento.
La volatilità non necessariamente si esplica sempre in una riduzione del valore dei nostri investimenti, ma il vero rendimento che muoverà i nostri risparmi dal punto A al punto B sarà il tasso annuo composto di crescita del capitale (la sigla inglese è CAGR).
La differenza tra il rendimento medio calcolato in maniera aritmetica e il CAGR è determinata proprio dalla volatilità.
La volatilità rappresenta la variabilità complessiva dei rendimenti ed è misurata come deviazione standard delle variazioni del prezzo del titolo o dell’indice analizzato.
Apparentemente complicato il concetto può essere spiegato anche ad un bambino. Almeno ci provo.
Prendiamo ad esempio due città, chiamiamole Zom e Zam. Entrambe hanno la stessa temperatura media durante l’anno, ma mentre Zam gode di un clima stabile e temperato in ogni stagione, Zom oscilla da temperature sottozero d’inverno a temperature tropicali d’estate.
Sommando la temperatura di ogni giorno la media sarà uguale, ma la volatilità attorno a questo valore medio per Zom sarà enorme rispetto a quella di Zam. Con inevitabili maggiori costi legati ad abbigliamenti e accessori vari che devono tenere conto dei diversi scenari.
Più grande è la variabilità più alta è la deviazione standard.
Più alta è la deviazione standard più importanti saranno i patemi d’animo (o le esaltazioni) quando osserveremo l’andamento del nostro portafoglio di investimento Per andare ancora più nel concreto, se ci presentano un investimento con un rendimento annuo medio del 10% e una volatilità del 20%, quello che ci dovremo aspettare saranno performance comprese tra – 10% (10-20) e + 30% (10+20) in 13 dei prossimi 20 anni, ovvero i due terzi del tempo.
Se un investimento il primo anno passa da 100 a 200, avremo un rendimento del 100%.
Se nell’anno successivo da 200 il valore scende a 50 avremo una perdita del 75%. Il rendimento medio sarà uguale a (100%-75%)/2= +12,5%.
Naturalmente il risultato è sbagliato. Siamo partiti con 100, siamo arrivati con 50. Quindi avremo una perdita del 50%.
Il rendimento medio di un investimento è sempre più alto del rendimento annuo composto (salvo nel caso di volatilità zero) e questo per effetto della volatilità.
Non mi piace farlo ma sono obbligato a pescare dall’inglese. Quello appena visto si chiama effetto “volatility drag”.
Una formula approssimativa per calcolare l’effetto negativo della volatilità è questa:
(1 + Average Return)2 – (Standard Deviation)2 = (1 + CAGR)2
Lasciate però stare la formula.
Quello che serve sapere in questo momento è che troppo spesso porre tanta attenzione al rendimento e poca alla volatilità è un errore. Errore comune dovuto alla pigrizia del nostro cervello che deve mettersi a fare due calcoli. Un errore che può però costare caro al benessere dei nostri soldi.
Ridurre la volatilità aumenta matematicamente il rendimento annuo composto facendolo convergere verso quello medio.
Come farlo è tutta un’altra storia.
Naturalmente nessuno si sogna nemmeno lontanamente di tirare fuori ogni volta dalle tasche matita e foglio per cominciare a fare i calcoli. Online esistono diversi calcolatori che agevolmente permettono di ottenere il rendimento annuo composto partendo da rendimento medio e volatilità. Uno dei più utili che ho incontrato è questo di MoneyChimp
Utilissimo anche per fare dei back test, questo calcolatore online gratuito contiene tutti i rendimenti della borsa americana dal 1871 al 2023.
Possiamo anche includere o meno i dividendi oppure aggiustare il tutto tenendo conto dell’inflazione.
Ad esempio gli ultimi 30 anni ci dicono che il rendimento medio della borsa americana è stato del 11,7% (9% in termini reali), ma con una volatilità del 17,4%.
Di conseguenza il vero ritorno dell’investimento è stato del 10,1% annuo composto che aggiustato per l’inflazione diventa 7,5%.
Ecco a voi presentati su una piccola porzione di monitor tutti gli effetti nefasti di volatility drag e inflation drag sui rendimenti dei nostri investimenti ( e manca ancora il tax drag…).
Una bella differenza rispetto a quello che viene raccontato spesso da simulatori allegri di pianificatori altrettanto generosi.
Sempre nello stesso calcolatore online abbiamo la possibilità di stimare l’effetto negativo della volatilità sui rendimento semplicemente inserendo due numeri. La volatilità appunto ed il rendimento medio.
Ad esempio partendo da 100 e raddoppiando con un +100% di performance il capitale, al termine del primo anno andremo a 200.
Un -50% di performance il secondo anno ci riporta a 100.
Il rendimento medio sarebbe a questo punto (100-50)/2=25%, ma in realtà il rendimento annuo composto (quello vero) è zero.
La volatilità in questo caso risulta un detrattore totale essendo del 75% (la distanza tra +100 e -50 dal valore medio 25).
Ipotizzando un più realistico rendimento medio del 10% ed una volatilità del 15% otteniamo il seguente risultato di
La volatilità ha sottratto 1,03% punti di rendimento.
Se riuscissimo a scoprire la ricetta per abbassare la volatilità dal 15% al 10%, magicamente e senza grandi sforzi guadagneremmo oltre mezzo punto di rendimento destinato a finire direttamente nelle nostre tasche.
Questa è la differenza tra un piano di investimento costruito in maniera piuttosto superficiale su rendimenti medi nominali del passato, e un piano creato in modo serio e soprattutto sostenibile basato su un mix di rendimenti storici composti e rendimenti attesi basati su valutazioni di mercato e volatilità.
Questa è la differenza tra prendere rischio in modo indiscriminato e gestire il rischio.
Come dico sempre indietro non si torna. Scoprire dopo 30 anni di risparmi che serviva il doppio del rendimento o il doppio dei soldi per raggiungere un obiettivo non è mai piacevole.
Meglio essere preparati e adottare le opportune contromisure in termini di rischio, asset allocation e costi.
A cura di Alfred Hoffmann, ad fondatore di Avalon Investment Research