Investimenti: segnali incoraggianti dalla Cina

Il 2024 che si chiude su toni dimessi sui mercati azionari occidentali in un contesto di volumi comprensibilmente rarefatti e con la sensazione che il rally natalizio, da molti atteso, sia arrivato in anticipo dando occasione agli investitori di assumere una impostazione più cauta in queste ultime giornate di contrattazione in previsione di un 2025 che si annuncia complicato sotto molti punti di vista.

Se non altro l’ultima giornata di questo 2024 ci riserva una gradita sopresa con le rilevazioni economiche cinesi che sembrano indicare come le azioni intraprese da Pechino per rivitalizzare la propria economia abbiano avuto un qualche effetto: l’indice PMI non manifatturiero (che comprende qui anche il travagliato settore immobiliare) si porta infatti sui massimi da nove mesi segnando una lettura a 52,2 decisamente più elevata delle aspettative della vigilia.

Confortante anche la lettura dell’omologo dato relativo al settore manifatturiero, che con un consuntivo a 50,1 segna la terza mensilità consecutiva in espansione (serie positiva più estesa dal marzo dello scorso anno) sebbene in calo rispetto a quanto segnato a novembre (50,3).

Insomma, non proprio dati eclatanti ma almeno timidi segnali che qualche cosa si muove nella terra del Dragone, e non sarà un caso che a fronte di un comparto asiatico che chiude il trimestre in corso per la prima volta in negativo dopo quattro trimestralità al rialzo, sia proprio il comparto dedicato alle azioni cinesi a spiccare in questa fine d’anno con un rialzo del 17% per il CSI300 da fine 2023 che diventa 27% (ovvero la performance migliore su base annua dal 2009) se guardiamo alle azioni cinesi quotate ad Hong Kong. Per comparazione l’indice che traccia il settore asiatico, ovvero l’MSCI Asia Pacific, chiude, per il secondo anno consecutivo, al rialzo, ma con performance decisamente inferiori nell’ordine del 8 per cento.

La lettura di un manifatturiero in Cina che rimane ancora tentennante fa poco per rivitalizzare un settore quale quello delle materie prime che ha ci ha offerto invero ben pochi spunti di interesse in queste ultime tornate: il petrolio chiude un anno quasi invariato, ma con buone premesse per i mesi che seguirannno, almeno a giudicare dal posizionamento degli ivestitori che hanno portato le scommesse rialziste sul greggio a toccare i massimi da quattro mesi a questa parte nella penultima settimana dell’anno.

All’altro estremo dello spettro il minerale di ferro che somatizza appieno la debolezza del compoarto immobiliare cinese accusando la sua prima annualità in flessione a far data dal 2015 guadagnandosi così il non invidiabile titolo di una tra le peggiori commodities di quest’anno.

Nel mezzo i metalli non ferrosi, di cui invero ormai da giorni si sente poco parlare; volumi al lumicino ed una evidente mancanza di direzionalità fanno da sfondo ad un comparto che, misurato dall’indice LMEX, segna un progresso annuo del 5% ma solo grazie ad isolati colpi di testa messi a segno da rame e zinco.

A cura di Michael Palatiello, ad e strategist di Wings Partners Sim

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