L’aumento dei dazi farà certamente salire il costo dei beni importati per i consumatori americani. Ma la politica doganale di Trump mira a espandere la capacità produttiva locale, poiché l’aumento dei dazi sulle importazioni potrebbe costringere le aziende straniere a considerare gli Stati Uniti come meta di investimento. Tuttavia, la repressione dell’immigrazione potrebbe portare a una riduzione della forza lavoro e all’aumento dei salari nominali, erosi da anni di globalizzazione.
Per buona parte dello scorso anno, la Fed e gli investitori sono stati costretti a fare ipotesi sulla direzione e la natura dell’inflazione e riteniamo che le politiche di Trump possano accrescere questa incertezza. Con l’inflazione ancora al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato della banca centrale, al momento la Fed ha ridimensionato le aspettative di ulteriori riduzioni dei tassi, e così i mercati.
La possibilità che l’inflazione torni a crescere sta spingendo gli investitori obbligazionari, guidati dai bond vigilantes, a cercare il loro guadagno. Ne è una manifestazione la recente impennata dei rendimenti dei Treasury statunitensi che a sua volta ha spinto al rialzo i rendimenti in gran parte del mondo sviluppato. Gli investitori chiedono un premio a termine più elevato come protezione dall’inflazione, con il conseguente irripidimento della curva dei rendimenti.
Nel Regno Unito il problema è aggravato dal deterioramento della situazione fiscale, che ha portato a un crollo dei titoli sovrani britannici (Gilt), spingendo i rendimenti a lungo termine al livello più alto dal 1998. Dalla presentazione del bilancio del Cancelliere Rachel Reeves a ottobre, i rendimenti dei titoli decennali sono aumentati di 25 punti base e per ristabilire la fiducia è necessario un taglio della spesa. Va detto che i Gilt hanno sofferto più di altri titoli sovrani, perché il Regno Unito è una delle poche grandi economie che si trova nella scomoda situazione di dover affrontare sia un ampio deficit delle partite correnti che un deficit fiscale. Questa sofferenza è evidenziata dalla sottoperformance dei Gilt rispetto ai titoli di Stato tedeschi (bund).
L’eccessivo indebitamento per far fronte alle spese e la dipendenza dai capitali esteri per finanziare il deficit sono stati la rovina dei Gilts. In questo contesto, la curva delle obbligazioni nel Regno Unito deve essere più ripida per trovare acquirenti. In aggiunta, il mondo post crisi finanziaria globale, caratterizzato da tassi d’interesse bassissimi, non esiste più, poiché il QE appartiene al passato e il capitale ora è scarso. Il Regno Unito sta scivolando così in una spirale del debito, una condizione in cui i rendimenti aumentano più rapidamente della crescita economica. L’incremento dei costi di finanziamento ha fatto crescere il costo di gestione del debito esistente, costringendo il governo a contrarre ulteriori prestiti.
Sebbene anche negli Stati Uniti il deficit di bilancio si sia ampliato negli ultimi anni, il primato del dollaro come valuta di riserva conferisce ai Treasury statunitensi un netto vantaggio. Tuttavia, l’emissione massiccia di obbligazioni fa salire i costi di finanziamento e mantiene i tassi di interesse più alti, una congiuntura che potrebbe aumentare la differenza di rendimento dei Treasury statunitensi rispetto al resto del mondo, attirando ulteriori flussi di capitale e rafforzando il dollaro. Inevitabilmente, una forza sostenuta del dollaro costringe gli investitori d’oltreoceano a vendere gli asset basati sul dollaro e porta a un inasprimento delle condizioni finanziarie. Di conseguenza, si innesca tipicamente un allentamento della politica della Fed. Per capire quali saranno le future mosse della Fed bisogna quindi monitorare il deficit delle partite correnti USA.
Da settembre, quando la Fed ha iniziato a tagliare i tassi di interesse, i rendimenti a lungo termine degli Stati Uniti sono saliti bruscamente. Si tratta di un fenomeno molto insolito, in quanto nel corso di un ciclo di allentamento i rendimenti tendono tipicamente a diminuire, e mette in evidenza l’angoscia degli investitori per l’indebitamento dilagante, la spesa fiscale e il perdurare dell’inflazione.
È opinione comune che le politiche di Trump porteranno a un aumento del deficit fiscale ma, data la sua preferenza per un mercato azionario solido, resta da vedere se correrà il rischio di ignorare i segnali negativi inviati dai mercati obbligazionari.
A cura di Mark Nash, Huw Davies e James Novotny, gestori obbligazionari di Jupiter AM