C’è una fase, nella vita degli imperi, in cui quello che sembrava solido e invincibile appare caduco e fragile. Questo accade quando l’impero viene sconfitto oppure quando decide autonomamente di sciogliersi. Nel primo caso l’impero austroungarico ritorna Austria nel 1918, mentre l’impero ottomano torna Turchia. Nel secondo caso l’Unione Sovietica ritorna Russia nel 1991 e l’impero di Occidente, guidato dall’America, ritorna Stati Uniti nell’anno di grazia 2025.
Nel tempo le società post imperiali possono tornare a prosperare e perfino a ricostituire, se non un nuovo impero, un’area d’influenza. La fase dello scioglimento dell’impero è però generalmente caotica e l’aggiustamento alla nuova realtà comporta difficoltà di ogni genere.
Gli Stati Uniti, a dire il vero, non sembrano volere rinunciare del tutto al loro ruolo imperiale. Più che a Gorbaciov, al quale viene talvolta paragonato, Trump fa pensare a quegli imperatori romani, come Diocleziano, impegnati ad arrestare il degrado dei conti pubblici o a decentralizzare un impero troppo esteso per poterlo difendere meglio, ritirandosi anche da qualche provincia lontana.
Questo è ben visibile sulla questione del dollaro. Trump vuole assolutamente mantenerne il ruolo di valuta di riserva, ma non a discapito della competitività di un’America che cerca di reindustrializzarsi. L’indebolimento del dollaro già iniziato, quindi, proseguirà e i momenti di forza, legati agli annunci di introduzione di nuovi dazi, andranno utilizzati per alleggerire l’esposizione.
Più in generale, il grande schema per cui l’America immetteva nella sua economia, attraverso il disavanzo pubblico, grandi quantità di dollari che finivano all’estero in cambio di prodotti e venivano poi riciclati nel mercato finanziario americano, questo grande schema verrà ridimensionato e inizierà a funzionare in senso inverso. Con l’America che si accinge a risparmiare ed Europa e Cina che si mettono a spendere, i flussi che si indirizzavano verso gli Stati Uniti hanno preso a correre verso Europa e Cina.
A questo contribuiscono le valutazioni azionarie, elevate in America e più basse nel resto del mondo e, ancora di più, il posizionamento. Il mondo scopre di avere troppa America in portafoglio, la tesi per cui l’innovazione tecnologica era monopolio americano regge meno di prima e tutti cercano ora di riequilibrare l’allocazione geografica e quella settoriale.
L’unica area in cui l’America può continuare a fare non solo bene, ma anche meglio degli altri, è quella obbligazionaria. Per una valutazione più completa occorrerebbe conoscere la politica di bilancio che il Congresso adotterà, ma è comunque probabile che i Treasuries lunghi faranno meglio dei Bund, quanto meno per quest’anno.
Un’atmosfera di fine impero è anche un segnale di liberi tutti. Se fino a oggi tutti gli asset del mondo si muovevano insieme, tutti su o tutti giù nello stesso momento, da qui in avanti ognuno fara storia a sé. Ritorna, insomma, l’allocazione attiva, che ha molto più spazio di prima per battere i semplici portafogli passivi.
Detto questo, non bisogna esagerare. Così come l’impero è ridimensionato, ma non terminato, così è difficile che un’America in bear market possa ritrovarsi fianco a fianco con un resto del mondo in pieno rialzo. Se l’azionario americano dovesse concludere l’anno in declino, qualche effetto negativo sarebbe visibile anche sugli altri mercati.
Prima di proclamare la fine dell’eccezionalismo americano, poi, vanno ricordati due importanti fattori. Il primo è che, per quello che possiamo vedere, non ci sono ragioni per ipotizzare una recessione nell’orizzonte prevedibile. La crescita americana sarà per quest’anno più bassa, probabilmente tra l’uno e il due per cento, ma non in modo preoccupante. A un certo punto anche una Fed poco propensa ad aiutare l’amministrazione taglierà i tassi. L’anno prossimo, d’altra parte sarà un anno elettorale e l’economia, verosimilmente, tornerà ad accelerare.
Il secondo fattore è che l’innovazione tecnologica continuerà ad arrivare più probabilmente dall’America e dalla Cina che non dall’Europa.
In sintesi, questo appare l’anno ideale per essere sovrappesati di Europa e sottopesati di America, ma questo non significa ancora che i rapporti di forza si siano spostati per sempre in modo decisivo.
A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos