La recessione più “stupida” della storia e i nuovi safe haven

«Combatteremo fino alla fine». Così le autorità cinesi hanno reagito all’annuncio dell’entrata in vigore di dazi del 104% imposti dagli Stati Uniti. Secondo Ipek Ozkardeskaya, analista senior di Swissquote, questa dichiarazione segna l’inizio di una controffensiva economica che potrebbe includere «misure massicce e senza precedenti», a partire dal lasciar indebolire lo yuan per attutire l’impatto dei dazi. Il cambio USD/CNY è sceso questa mattina ai livelli più bassi dal 2007, segnalando l’apertura di una nuova fase della guerra commerciale globale.

Ma Pechino non è sola. A mostrare i muscoli monetari ci sono anche la Reserve Bank of India e la Reserve Bank of New Zealand, che hanno entrambe tagliato i tassi di interesse di 25 punti base. Il Kenya ha fatto ancora di più, con una riduzione di ben 75 punti base. E le aspettative sono che la Banca Centrale Europea segua presto lo stesso percorso, probabilmente già nella prossima riunione.

Politica e paradossi

A pesare sul quadro complessivo non sono soltanto le manovre economiche, ma anche il contesto politico. Le politiche commerciali di Donald Trump stanno provocando turbolenze sul dollaro e alimentando «le crescenti scommesse sulla recessione – probabilmente la recessione più stupida della storia mondiale», commenta ironicamente Ozkardeskaya.

La Fed per ora resta cauta, sostenendo che la sua attuale politica è «ben posizionata per affrontare le interruzioni tariffarie». Ma se i mercati dovessero entrare in una spirale negativa, un intervento potrebbe diventare inevitabile. «Naturalmente, i funzionari della Fed, come tutti gli altri, sono preoccupati per l’impatto che i dazi massicci avranno sull’economia statunitense», osserva l’analista.

Tuttavia, il vero nodo è: chi pagherà il conto? Se saranno gli esportatori stranieri a farsi carico dei costi, Trump potrebbe ottenere una vittoria politica perfetta. Se invece i prezzi al consumo saliranno, la Fed potrebbe trovarsi costretta a intervenire, e l’inflazione rischia di diventare un boomerang elettorale per l’ex presidente.

L’euro si rafforza, l’oro brilla

Mentre il dollaro si indebolisce, l’euro torna a superare quota 1,10. Secondo Ozkardeskaya, «livelli inferiori a 1,10 offrono interessanti opportunità di acquisto in fase di ribasso», soprattutto in un contesto di guerra commerciale. I Bund tedeschi stanno guadagnando terreno come “rifugio sicuro”, a fronte di un rendimento del decennale statunitense balzato oltre il 4,5% in appena tre giorni.

Nel frattempo, si moltiplicano le voci secondo cui la Cina starebbe vendendo titoli di Stato USA. E mentre le tensioni aumentano, l’oro continua la sua corsa: ha superato la soglia simbolica dei 3.000 dollari, spinto anche da ipotesi di sostituzione dei Treasury USA da parte di varie banche centrali.

L’arte della crisi secondo le banche centrali

Nel mezzo di questo scenario incerto, le banche centrali tornano protagoniste. In un approfondimento dal tono didattico e disincantato, Ozkardeskaya spiega perché «le cattive notizie sono spesso buone notizie» per i mercati. Il motivo? Le cattive notizie aumentano le aspettative di interventi espansivi da parte delle banche centrali, come il taglio dei tassi e il quantitative easing.

«Quando l’attività economica si indebolisce», scrive, «le banche centrali intervengono con quello che chiamiamo allentamento monetario». È una strategia che ha funzionato in passato: dalla crisi della bolla dot-com all’intervento aggressivo della Fed durante il crollo del 2008 e più recentemente durante la pandemia. La logica è semplice: tassi più bassi rendono più conveniente l’indebitamento, stimolano investimenti e consumi, e aumentano il valore attuale degli utili futuri, sostenendo i mercati azionari.

Un sistema imperfetto, ma ancora dominante

Eppure, la magia del quantitative easing funziona solo per chi può permettersela. «Se la Banca Centrale della Turchia inizia a stampare denaro per acquistare il debito pubblico, non funzionerà. Sì, la vita è ingiusta», commenta con ironia l’analista. Ma finché la Fed potrà continuare a sostenere i mercati, la musica continuerà a suonare.

L’invito finale di Ozkardeskaya è rivolto agli investitori e ai lettori: imparare a leggere i dati economici non in modo lineare, ma in relazione alle reazioni delle banche centrali. «La prossima volta che osservate un dato, chiedetevi come influenzerà le aspettative sui tassi. Scoprirete che le cattive notizie tendono a innescare rally del mercato più spesso di quanto non inneschino vendite».

In un mondo in cui l’incertezza è diventata la nuova normalità, capire i meccanismi che muovono le banche centrali diventa essenziale. E se la geopolitica non offre garanzie, almeno i mercati sembrano sapere – ancora una volta – dove cercare conforto: nelle mosse delle banche centrali.

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