Mercati: il futuro del capitalismo con Trump

A cura di Manlio Marucci

Da quando il risultato elettore delle recenti elezioni in America ha dato l’imprimatur al tycoon Mister Trump di governare il paese più capitalistico al mondo vi è stato uno sconvolgimento totale nel mantenere gli equilibri in tutti i settori della vita economica, politica, finanziaria e sociale dei vari paesi che hanno – con la globalizzazione – intrattenuto e intrattengono rapporti con gli stessi Stati Uniti.

Indipendentemente della realtà legata agli scenari delle guerre in atto, con l’insediamento dal gennaio 2025 di Trump alla guida dell’America  gli eventi a livello commerciale sono radicalmente cambiati, come sono cambiati i rapporti tra i vari paesi nel contesto internazionale, anche se tutto ciò ha radici lontane  sul piano storico, economico e finanziario.  Soprattutto con la Cina che ne ha sfidato la sua egemonia globale.

Se si pensa infatti che i rapporti tra quantità di lavoro richieste dalle esportazioni e dalle importazioni (quelle che vengono definite “ragioni di scambio fattoriali”) questi rapporti risultano sfavorevoli ai paesi meno avanzati. Secondo la teoria  ricardiana poi ripresa da Marx, è stato ben evidenziato con rigore scientifico come il differenziale nella remunerazione del lavoro –  a parità di produttività – è inferiore ai paesi della periferia piuttosto che quelli al centro. Una visione del commercio internazionale quindi in cui la concorrenza porta a eguagliare o correggere le disuguaglianze e lo sfruttamento che colpiscono le economie meno industrializzate a vantaggio dei paesi capitalistici più ricchi.

In questo quadro le conseguenze oggi sono ben visibili a tutti con l’ampio deficit commerciale degli Stati Uniti che presenta un disavanzo  che ha superato i 3 trilioni di dollari (nel 2024 era di 1,8 trilioni)  con una posizione finanziaria negativa di circa 22 trilioni di dollari.

Il presidente americano Trump con le ultime decisioni sui dazi adottate lo scorso 2 aprile con l’applicazione dei 20% (poi sospese per novanta giorni dopo le fortissime proteste e reazioni da ogni parte del mondo) ha individuato che le cause principali di tale deficit commerciale degli Usa è determinato soprattutto dalla guerra commerciale con la Cina. Una guerra commerciale che, se si vuole, risale già al 2018 ed oggi è emersa in tutta la sua portata sul piano politico e strategico per poter mantenere la sua egemonia a livello mondiale.

La Cina infatti dal 1995 al 2016 ha ridotto notevolmente lo scambio ineguale per salari e ore lavorate in questo arco di tempo come trasferimenti di valore diretti dalla Cina verso gli Stati Uniti : dal tessile , alla produzione di beni durevoli; dai prodotti elettronici e ottici all’agricoltura e allevamento; dalla produzione di autoveicoli ai prodotti farmaceutici, fino ad interessare tutti i beni di produzione primaria per i consumi di massa.

La logica con cui l’attuale Presidente americano  ha adottato questa offensiva, sia contro la Cina e  altri  paesi facenti riferimento al mercato europeo è legata soprattutto verso e contro le gigantesche multinazionali del globalismo quali rappresentanti di una delle fazioni dell’alta finanza che attualmente dominano l’economia degli Usa: la fazione continentale opposta alla fazione globalista. Ma le ragioni di fondo di questa politica aggressiva dei dazi di Trump vanno sicuramente  legate al forte deficit federale degli  Stati Uniti  che ha come obiettivo quello di  rifinanziare il taglio delle tasse   oltre alle riduzioni fiscali  promesse durante la sua campagna elettorale.

Una strategia che fa emergere  una linea di fondo  palesemente orientata a  non tassare più il popolo americano facendo appunto leva sui dazi, ovvero sulle tasse, al resto del mondo sfruttando la forte propensione del suo potere economico, finanziario e militare detenuto dalla stessa società americana. Va detto infatti come il forte debito pubblico USA ammonti a oltre 36 trilioni di dollari; una cifra impossibile se si pensa che quasi il trenta per cento è detenuto da  investitori esteri e da banche centrali. Solo la Cina ne possiede circa 760 miliardi oltre il  Giappone  e investitori istituzionali  per circa 2.700 miliardi di dollari.

Di fronte  a questo quadro le decisioni con i dazi assunte il 2 aprile scorso  da Trump,  i mercati finanziari hanno reagito malissimo dando dei segnali forti alle politiche nevrotiche adottate dal Tycoon al punto da sospenderne per 90 giorni la sua efficacia. Basta ricostruire il calendario di seguito per vederne la sua caotica politica che tra l’altro ha scosso fortemente i paesi alleati quale quelli dell’EU e non solo.

“”📈 Dal 20 gennaio 2025, il secondo mandato di Trump si è aperto con una raffica di dazi così caotica che persino gli economisti hanno chiesto il VAR (Value at Risk) per capirci qualcosa.

🌎 Il 31 gennaio Trump annuncia il “Big Dazio Day”: 25% sul Messico e Canada (“colpevoli” di non fermare migranti e fentanyl), e un modesto 10% sulla Cina. Interpellato su possibili trattative, lo stesso Trump risponde categorico: “Non se ne parla proprio!”, salvo poi dichiarare poche ore dopo che un’eccezione per il petrolio canadese ci sarebbe stata, giusto “per non congelare nelle nostre case”.

🔧 A febbraio, Trump continua: il 4 febbraio alza di un altro 10% tutti i beni cinesi perché la Cina non avrebbe fatto abbastanza contro il fentanyl. Un approccio geniale: per fermare una droga sintetica, tassa le padelle antiaderenti. A fine mese minaccia pure il rame, accusandolo di non essere abbastanza americano (con buona pace di Lady Liberty).

🌲 Il 1° marzo indaga sul legname canadese, forse infastidito dai troppi “Trudeau” incisi sugli alberi. Il 4 marzo altri dazi a Messico e Canada; Trudeau risponde tassando whiskey e jeans. Insomma, il Canada colpisce duro: chi ci guadagna sono solo i produttori di gin e pantaloni chino.

🥃 Il 12 marzo Trump rincara su acciaio e alluminio europeo. L’UE minaccia rappresaglie sul bourbon americano e Trump replica: “Se colpite il whiskey, noi distruggeremo il vostro vino!”. Mai sottovalutare la capacità di Trump di trasformare un aperitivo in un conflitto internazionale.

🧊 Poi arriva il 2 aprile, giorno epocale. Trump annuncia dazi “reciproci” universali del 10%, con punte al 54% sulla Cina. La lista è talmente indiscriminata che include persino le disabitate isole McDonald in Antartide (popolazione: pinguini zero). Forse teme che gli iceberg possano sottrarre lavoro ai produttori di ghiaccio dell’Alabama.

⏳ Il caos è tale che il 9 aprile Trump sospende improvvisamente alcuni dazi, dicendo di voler dare “spazio ai negoziati“, ma non per tutti, con la Cina il “botta è risposta è oggi arrivato al 145% vs 125%. Ma l’11 aprile esenta smartphone e laptop cinesi dal 145% di dazi appena imposti, forse resosi conto che un iPhone a 2300 dollari avrebbe rischiato la rivolta degli influencer.

🔪 Ma il 13 aprile cambia di nuovo idea, annunciando nuove tariffe sui chip e l’elettronica, precisando che l’esenzione era temporanea: come dire, vi tolgo il coltello dalla schiena, ma solo per affilarlo meglio.
🚗 Il 15 aprile afferma di essere intento a studiare una sospensione dei dazi sulle auto, ma preannuncia quella su farmaci e chips.

🎰 In sintesi, con Trump la politica commerciale è diventata un flipper impazzito: se non vi piacciono i dazi, aspettate un’ora. Ne arriveranno di peggiori

⚡️ Nel pomeriggio del 7 aprile, il VIX – noto come “indice della paura” – è schizzato a 60,13, registrando uno dei picchi più alti degli ultimi anni. In sole 72 ore, l’indice ha poi segnato un minimo intraday di 31,90 il 9 aprile, per poi chiudere venerdì 11 aprile a 37,56. Questi numeri raccontano una dinamica che chi osserva i  mercati da anni conosce bene: dopo uno spike estremo, la paura comincia a cedere, e con essa le borse iniziano a ritrovare fiato.  🧠 Il VIX, insomma, non è una bacchetta magica, ma un barometro psicologico di rara efficacia. E quando passa da 60 a 37 in poche ore, lancia un messaggio potente: gli investitori stanno riprendendo il controllo. Che sia l’inizio di una fase più costruttiva è possibile.

Ricostruzione ripresa su linkedin – autore Fabio Cappa)

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Una massima del Taoismo (Lao Tzu) ha insegnato che nel trionfo inizia il disastro.

Alcune domande sono indispensabili: E’ questp che ci si aspetta o forse sono  i problemi strutturali dell’economia americana che anticipano la crescente instabilità del sistema monetario internazionale con una recessione alle porte e un’ inflazione  in salita ?

Ignorare le  catene globali del valore (gli Usa importano componenti per poi esportare prodotti finiti); ignorare la struttura stessa dell’economia (alcuni paesi sono esportatori netti per la loro impostazione produttiva) ; ma soprattutto ignorare la natura bidirezionale del commercio con l’applicazione di una tassa del 20% non può che far aumentare i costi anche per i consumatori americani.

Il male principale del capitalismo monopolistico – di cui non se ne parla molto in questo periodo – è la tendenza crescente alla sovraccumulazione.  Molti esponenti dell’intellighenzia americana, anche della sinistra, tendono infatti a pensare che il capitalismo Usa si stia dirigendo verso un’edizione americana di stato corporativo, autoritario e repressivo all’interno, crescentemente militaristico e aggressivo all’esterno.

E’ forse questa la tendenza di questi scenari e dei relativi rischi che vuole assumersi il Presidente Trump ?  O forse è consapevole involontario  della complessità reale del funzionamento del commercio globale e dei conseguenti  rapporti commerciali di livello internazionale ?

In attesa di conoscere le successive mosse di Trump, intanto i ricconi americani scappano in Svizzera, le Università americane sono in subbuglio e l’Europa  vara  per la prima volta nella sua storia una  politica monetaria  che ha come riferimento l’euro digitale contro il monopolio del circuito dei pagamenti delle società americane, Visa e Mastercard. Nel frattempo assistiamo che iI presidente della Repubblica Popolare Cinese ha stretto solidi legami con i paesi del sud est asiatico, in particolare con il Vietnam nella cooperazione dei settori strategici quali il 5G, l’intelligenza artificiale e lo sviluppo ecologico in settori ad alta tecnologia.

In questo quadro caotico, infine, riemerge la necessità di un rigoroso controllo dell’organo stesso della conoscenza dei meccanismi che governano la società moderna  e le dinamiche economiche e politiche ad essa collegate per rimettere  in gioco un nuovo ordine mondiale basato sui valori fondanti del consenso sociale e del rispetto della dignità della persona umana. Respingendo ogni relativismo e conservatorismo a cui la logica del capitalismo – di cui Trump ne è una espressione diretta – ci ha abituati, pena l’annullamento della dimensione logica del rapporto storicamente convalidato tra individuo-società e cultura.

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