Fed tra incertezze macro e rischi protezionistici: la view dello IOR

Le ultime dichiarazioni del presidente della Fed, Jerome Powell, offrono un’immagine chiara del clima di incertezza che domina l’economia statunitense. In un contesto già instabile, le nuove misure protezionistiche introdotte dall’amministrazione americana stanno aggravando i rischi per la crescita, l’inflazione e la politica monetaria. Lo sottolinea Michele Di Marco, responsabile dell’Area Gestioni Patrimoniali dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR), in un’analisi che mette in luce le tensioni crescenti cui è sottoposto il sistema economico USA.

Secondo Di Marco, “le nuove tariffe commerciali verso partner strategici stanno accentuando i rischi di coda sulla crescita economica”, con effetti diretti sulle scelte della Fed. Già nel Summary of Economic Projections pubblicato il 19 marzo, i membri del Federal Open Market Committee avevano messo in evidenza l’imprevedibilità degli effetti delle barriere tariffarie. Le proiezioni aggiornate mostravano infatti “un aumento dell’asimmetria nei rischi, con una crescente probabilità di scenari macroeconomici meno favorevoli”.

La stima di crescita per il 2025 è stata ridotta ancor prima dell’annuncio ufficiale dei dazi del 2 aprile. Tuttavia, come precisa Di Marco, “alla luce dell’inasprimento delle tensioni commerciali, ulteriori revisioni appaiono sempre più probabili”. A conferma di questa prospettiva, i dati più recenti sulle Non-Farm Payrolls, diffusi dal Bureau of Labor Statistics, mostrano un rallentamento dell’occupazione che potrebbe essere sintomo di una domanda di lavoro in indebolimento.

A rendere il quadro ancora più complesso, osserva Di Marco, è “la prima stima del PIL del primo trimestre 2025, in calo significativo rispetto a qualche mese precedente”. Questo dato, accompagnato da un marcato incremento delle importazioni, potrebbe riflettere un comportamento anticipatorio da parte delle imprese in vista dell’introduzione delle nuove tariffe, ma introduce una distorsione temporanea che potrebbe aumentare la volatilità dei dati nei prossimi trimestri.

Non meno preoccupante è il possibile ritorno di pressioni inflazionistiche. “L’aumento dei costi di produzione dovuto all’applicazione delle tariffe”, spiega Di Marco, “potrebbe essere trasferito, almeno in parte, sui consumatori”, mettendo ulteriormente alla prova l’equilibrio tra inflazione e crescita e complicando il compito della banca centrale americana.

La Fed si trova così a operare in uno scenario di forze divergenti: da un lato, una domanda interna più debole; dall’altro, un’inflazione da costi. Una combinazione che, come avverte Di Marco, “potrebbe innescare uno scenario di stagflazione nel breve termine”.

Alla luce di questo contesto, l’aspettativa è che nel prossimo meeting della Fed non vi saranno variazioni nei tassi di riferimento. Secondo Di Marco, “la banca centrale americana rimanderà il taglio dei tassi, evidenziando la necessità di ulteriori dati per avere una maggiore visibilità sull’impatto economico delle misure protezionistiche in essere”.

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