Negli anni successivi alla pandemia, l’economia degli Stati Uniti ha vissuto un periodo di crescita notevole, sostenuto da una politica fiscale espansiva, una domanda interna robusta e un mercato del lavoro solido. Tuttavia, secondo Ariel Bezalel ed Harry Richards, investment manager Fixed Income di Jupiter AM, questa fase sembra volgere al termine, soprattutto con il ritorno di Trump alla Casa Bianca.
“Trump ha inizialmente acceso l’entusiasmo dei mercati con la sua agenda pro-crescita,” osservano Bezalel e Richards, “ma l’imprevedibilità delle sue politiche, dai dazi commerciali alla pressione sulla Fed, ha aumentato l’incertezza generale”.
Le tensioni con Jerome Powell, presidente della Fed, e la recente istituzione del Department of Government Efficiency (DOGE), con annunci di tagli alla spesa pubblica e all’occupazione, hanno creato uno scenario macroeconomico instabile. Le piccole imprese ne stanno già risentendo: l’indice di incertezza della National Federation of Independent Business è vicino ai massimi storici.
Un’America più austera, un’Europa più espansiva
Mentre gli Stati Uniti si orientano verso una politica fiscale più restrittiva, con l’obiettivo di contenere il deficit intorno al 3% del PIL, in Europa sta accadendo l’opposto. A spingere il cambiamento, spiegano Bezalel e Richards, è stato anche “il deterioramento dei rapporti transatlantici e le dichiarazioni di Trump che hanno scosso la cooperazione in materia di difesa”.
La Germania, per esempio, ha promesso investimenti straordinari nella difesa, escludendoli dalle regole del freno al debito. Il cancelliere Friedrich Merz ha dichiarato che il Paese farà “whatever it takes” per garantire la sicurezza. Sono previsti anche 500 miliardi di euro per infrastrutture e ulteriori margini di deficit per comuni e regioni.
Nel frattempo, la Commissione europea ha autorizzato un prestito da 150 miliardi e ha escluso dal calcolo del deficit 650 miliardi di spese per la difesa. “Queste misure potrebbero rivitalizzare l’economia europea,” commentano gli esperti di Jupiter AM, “anche se i dazi statunitensi gettano un’ombra sulle prospettive”.
Il Regno Unito tra sfiducia e opportunità
Il Regno Unito non è esente da difficoltà. I GILT, titoli di Stato britannici, sono sotto pressione a causa dei timori legati alla sostenibilità fiscale e all’inflazione persistente. Tuttavia, Bezalel e Richards invitano a non essere troppo pessimisti: “Le condizioni fiscali del Regno Unito non sono peggiori rispetto ad altri Paesi sviluppati”.
Tassi, obbligazioni e strategie per investitori prudenti
Il cosiddetto “Liberation Day” annunciato da Trump il 2 aprile ha cambiato le carte in tavola per quanto riguarda le politiche monetarie. I mercati ora si aspettano cinque tagli dei tassi da 25 punti base negli Stati Uniti entro la fine del 2026, contro i due o tre previsti inizialmente. Dinamiche simili sono attese anche nel Regno Unito e in Australia.
“Questo scenario rende ancora interessanti i titoli di Stato dei Paesi sviluppati, i cui rendimenti restano storicamente elevati,” affermano i gestori di Jupiter AM. Tuttavia, “gli asset di rischio restano costosi e gli spread creditizi troppo stretti”.
La strategia suggerita è quella del *barbell*: una combinazione tra titoli di Stato e obbligazioni societarie high yield accuratamente selezionate. Particolare attenzione è rivolta a mercati emergenti come Brasile e Repubblica Ceca, nonché alle obbligazioni in valuta locale di India e Brasile.
Navigare l’incertezza con selezione attiva
Le politiche di Trump hanno messo in discussione l’ordine economico e geopolitico globale, generando un clima di elevata volatilità. “In uno scenario del genere,” concludono Bezalel e Richards, “è essenziale una selezione accorta degli asset per minimizzare i rischi e massimizzare i rendimenti. In questo contesto, gli investitori attivi possono fare la differenza”.