I tassi di interesse estremamente bassi durante la pandemia hanno cullato gli investitori in un senso di sicurezza riguardo al crescente debito pubblico. Hanno accettato un premio a termine inferiore, ovvero una compensazione per il rischio di detenere quel debito a lungo termine. Ciò ha fatto scendere anche i rendimenti globali. Ma i rendimenti a lungo termine sono in forte aumento da aprile, poiché gli investitori richiedono un premio a termine più elevato. Ce lo aspettavamo da tempo.
Abbiamo più volte messo in luce che l’elevato debito pubblico avrebbe finito per creare un equilibrio fragile, con le obbligazioni vulnerabili alla mutevole percezione del rischio da parte degli investitori. E abbiamo sottolineato la persistente pressione inflazionistica derivante dalle interruzioni dell’offerta post-pandemiche. Un’inflazione più elevata, e quindi tassi di riferimento più elevati, insieme a qualsiasi aumento del premio a termine, fanno aumentare i costi del servizio del debito.
E questo è soprattutto vero per gli Stati Uniti, viste le crescenti preoccupazioni sul deficit. Considerazione che potrebbe portare gli investitori a sottopesare i titoli del Tesoro USA a lungo termine. All’inizio dell’anno ci aspettavamo che il rapporto deficit/PIL degli Stati Uniti si sarebbe attestato tra il 5% e il 7%, sulla base di previsioni esterne sull’impatto delle proposte di politica commerciale, fiscale e migratoria. Da allora, Moody’s ha ridotto il rating creditizio più elevato degli Stati Uniti e il Congresso sta valutando una proposta di bilancio che a nostro avviso potrebbe spingere i deficit al limite superiore di tale intervallo, o anche oltre.
Lo stesso, sia pure per motivi diversi, si può dire per il Giappone, dove i rendimenti obbligazionari trentennali hanno raggiunto un massimo storico a maggio, confermando il nostro sottopeso di lunga data. La banca centrale giapponese, storicamente il maggiore acquirente di titoli di Stato nell’ambito delle misure di allentamento monetario volte a far uscire l’economia dalla deflazione, ha ridotto gli acquisti nell’ambito della normalizzazione della politica monetaria. Questo ha esercitato pressione sui rendimenti a lungo termine e una recente asta di obbligazioni a lungo termine ha registrato la domanda più debole degli ultimi dieci anni. Ciò a sua volta ha spinto il Ministero delle Finanze giapponese a valutare la possibilità di ridurre le vendite di obbligazioni a lungo termine. Se i rendimenti dovessero aumentare ulteriormente, aumenterebbero anche i costi per il servizio del debito pubblico, ora pari al doppio delle dimensioni dell’economia.
Sul mercato azionario, notiamo come gli investitori siano parzialmente tornati ad essere pro-rischio, soprattutto quando è diventato chiaro che rigide regole economiche limitano la distanza che la politica statunitense può percorrere rispetto allo status quo, per esempio le modalità di finanziamento del debito statunitense da parte degli investitori stranieri. Probabile quindi che a fronte di un sottopeso dell’obbligazionario, gli investitori tendano a sovrapesare le azioni, basandosi sulla regola economica secondo la quale le catene di approvvigionamento non possono essere riorganizzate da un giorno all’altro senza gravi interruzioni. Regole che si è dimostrata vincolante per la politica commerciale.
Nelle prossime settimane crediamo che siano da monitorare i dati sull’occupazione negli Stati Uniti di maggio, dopo che l’aumento dell’occupazione ha superato le aspettative e la crescita salariale si è raffreddata ad aprile. Stiamo inoltre monitorando l’impatto delle perturbazioni commerciali sulle assunzioni e come il rallentamento della crescita della forza lavoro possa influire sulle pressioni salariali.
A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim