La nazionalizzazione silenziosa di Wall Street

Secondo Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy di Lemanik, la narrazione dominante sulla congiuntura economica globale sta diventando un pretesto per distogliere l’attenzione dai veri meccanismi di controllo ormai in atto sui mercati finanziari americani.

La nazionalizzazione silenziosa di Wall Street”Tutta la ricerca macroeconomica di consenso continua a essere focalizzata sui dazi e sull’impatto che potranno avere sull’economia, con una noiosa narrazione che analizza in dettaglio, settore per settore e paese per paese, di quanto si contrarrà l’economia e di quanto salirà l’inflazione”, osserva Novelli.

Ma la realtà dietro le quinte sarebbe molto più preoccupante: “Credo che tutto questo sia finalizzato a distogliere l’attenzione dal fatto che i mercati finanziari americani siano ormai totalmente nazionalizzati. Il Ministero del Tesoro amministra ormai di fatto gli indici azionari e anche il livello dei tassi d’interesse sui Treasuries”.

Un sistema drogato dagli interventi pubblici

Il gestore di Lemanik spiega che le violente inversioni di tendenza degli indici azionari americani negli ultimi mesi sarebbero state il risultato di operazioni coordinate dal Ministero del Tesoro Usa insieme ad hedge fund vicini all’amministrazione. “Intermediari che dispongono di linee di credito in grado di risollevare il mercato nei momenti più critici, ma anche di informazioni privilegiate sulle dichiarazioni e sulle mosse della Casa Bianca, che è probabilmente all’epicentro di un colossale giro di insider trading”, denuncia Novelli.

A supporto di questa dinamica ci sarebbero anche interventi mirati come quelli dell’Exchange Stabilisation Fund per contenere i tassi a lungo termine e le manovre della Fed, costretta a riattivare programmi di acquisto titoli per 43 miliardi di dollari. “Le istituzioni bancarie saranno facilitate nell’acquisto di titoli di stato Usa senza limiti, grazie a un provvedimento in via di approvazione che rimuove dai ratios patrimoniali il rischio sulle posizioni in Treasuries”, aggiunge Novelli.

Le irrealistiche prospettive macro degli Usa

Mentre gli Stati Uniti approvano leggi di bilancio che prevedono un deficit/Pil dell’8% stabile per i prossimi dieci anni, il quadro macroeconomico che viene proiettato appare del tutto irrealistico. “Questa sofisticata previsione macroeconomica assomiglia ai piani economici dell’ex Unione Sovietica, anche se il Politburo si spingeva al massimo a definire piani quinquennali”, ironizza Novelli.

Il mix di politiche fiscali espansive, controllo sui tassi e interventi sui mercati finanziari potrebbe però avere effetti collaterali difficilmente gestibili: “Gli Stati Uniti possono facilmente manipolare il mercato azionario e la curva dei tassi, ma non possono controllare il livello del dollaro, che rischia di diventare il potenziale trigger di una crisi Usa”.

Il Giappone e il fragile equilibrio globale

Alla complessità americana si somma ora il rischio sistemico proveniente dal Giappone. “La crisi dei titoli di stato giapponesi è un ulteriore problema che si aggiunge a un sistema finanziario globale che fa acqua da tutte le parti e che richiede un bail out ormai giornaliero”, avverte Novelli.

La strategia della Bank of Japan — spiega — aveva puntato a una reflazione controllata tramite svalutazione dello yen, inflazione importata e bassi tassi d’interesse. Ma il piano ha iniziato a deragliare: “Le grandi istituzioni giapponesi hanno iniziato a disertare le aste dei titoli di stato. A questo punto la parte lunga della curva ha iniziato a impennarsi, mettendo in seria crisi la strategia di mantenimento del costo del debito pubblico”.

La situazione si è aggravata a tal punto che la BoJ è stata costretta a intervenire nuovamente stampando moneta per acquistare titoli pubblici e indebolire lo yen. “Se non vuoi che i carry trades saltino e si inneschi una crisi finanziaria negli Stati Uniti, devi tornare a fare QE”, afferma Novelli. Ma questo rischia di avviare una spirale inflazionistica fermabile solo con una recessione in Giappone.

Il disordine globale che i mercati ignorano

Il quadro delineato da Novelli è quello di un disordine globale sempre più difficile da gestire: “Gli Stati Uniti non possono interrompere l’intervento fiscale perché il sistema finanziario non reggerebbe una recessione. Giappone, banche e Fed devono finanziare l’espansione del debito pubblico, ma i tassi non devono salire per non procurare una recessione”.

Allo stesso tempo, osserva Novelli, “gli investitori internazionali stanno comunque uscendo dal dollaro, riducendo la liquidità disponibile per il sistema finanziario Usa, che deve essere quindi fornita ora dalla Fed”.

Lo scontro apparente tra Trump e Powell

Il contrasto apparente tra la Fed e il governo Usa sarebbe, secondo Novelli, un semplice gioco delle parti. “Lo scontro tra Fed e Governo Usa è solo una farsa per sostenere un gioco delle parti. Powell è consapevole della situazione e sa che l’intervento fiscale è l’unico strumento per evitare una caduta in recessione”.

La Fed continua infatti a mantenere le riserve del sistema a livelli eccezionalmente alti, pari a 3,6 trilioni di dollari, pur di garantire stabilità al sistema. “L’economia Usa è in stagnazione e galleggia solo grazie all’intervento pubblico”, sottolinea Novelli.

Il costo dell’eccezionalismo americano

Il prezzo di questo equilibrio precario appare insostenibile nel lungo termine: “Nel 2024 gli Stati Uniti hanno generato 2,8 trilioni di nuovo debito pubblico e 3,6 trilioni di nuovo debito privato per ottenere solo 650 miliardi di Pil”, denuncia il gestore.

Un sistema che si regge su basi così fragili necessita di continue forzature: “Richiede una nazionalizzazione dei tassi e dei mercati finanziari, una deregulation mirata a non far contabilizzare le perdite occulte nei bilanci e il congelamento degli asset che lo sostengono”.

Verso un controllo dei capitali?

Come sottolinea Novelli, la nuova legge di bilancio Usa prevede già un’imposta del 30% su cedole e capital gain per investitori esteri provenienti da Paesi che applicano la Digital Tax. Ma il vero asso nella manica degli Stati Uniti è un altro: “Tra i poteri speciali del Presidente c’è una legge che consente, in caso di emergenza nazionale, di bloccare qualsiasi uscita di capitali dal suolo americano… ma se non sai… tutto sembra ok”, conclude amaramente Novelli.

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