Secondo Jason Pidcock e Sam Konrad di Jupiter Asset Management, “è possibile che gli investitori globali stiano ora mettendo in discussione l’eccezionalismo degli Stati Uniti”, un mercato che per oltre due decenni ha attratto una parte preponderante dei capitali mondiali. A pesare sono il crescente debito pubblico, il deficit e l’incertezza legata alla politica interna statunitense. Elementi che, secondo i due gestori, potrebbero spingere gli investitori a rivedere i propri assetti geografici, con una maggiore attenzione verso l’Asia e l’Europa.
“Vi sono segnali”, affermano, “che indicano che alcuni investitori hanno intenzione di spostare il loro capitale dagli Stati Uniti verso altre regioni”, ritenute più stabili e con mercati abbastanza liquidi da assorbire nuovi flussi senza shock sistemici.
Valute asiatiche in ascesa
Questa dinamica si riflette anche nel mercato valutario. “Il recente apprezzamento delle valute asiatiche rispetto al dollaro USA”, osservano Pidcock e Konrad, “potrebbe essere spiegato dal rimpatrio di capitali da parte di investitori europei e asiatici”. Taiwan, in particolare, ha visto il proprio dollaro rafforzarsi, seguita da Singapore, Australia, Indonesia e India.
Un dollaro debole, inoltre, tende storicamente a favorire le performance dell’azionario asiatico, rendendo ancora più interessante la regione agli occhi degli investitori internazionali.
L’Asia può beneficiarne?
Mentre le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina restano al centro della scena, i mercati finanziari hanno vissuto momenti di forte volatilità tra aprile e maggio. Tuttavia, gli analisti di Jupiter AM mantengono una visione positiva: “Il nostro ottimismo sulle opportunità disponibili agli investitori in Asia non ha vacillato”, dichiarano, pur riconoscendo che serve “maggiore chiarezza sugli accordi commerciali”.
Tra i Paesi che potrebbero muoversi per negoziare nuovi termini con Washington, i più attivi potrebbero essere Giappone e Corea del Sud, seguiti da Taiwan, India e Vietnam. Più stabili, invece, i rapporti di Australia e Singapore, che già applicano dazi del 10% verso gli Stati Uniti, livello in linea con l’accordo siglato da Londra con Washington.
Le preferenze di Jupiter AM
Nel portafoglio di Jupiter Asset Management, la selezione è guidata da un approccio focalizzato su aziende con “income di qualità”. Il settore tecnologico resta centrale, con una preferenza per Taiwan, grazie al suo ruolo chiave nelle catene del valore globali. Oltre a Taiwan, i mercati ritenuti più promettenti sono Australia, India e Singapore.
Nessuna esposizione invece alla Cina continentale: “Riteniamo che il Paese del dragone si ritroverà probabilmente con i dazi statunitensi più alti tra i Paesi asiatici, e forse tra tutti i Paesi in generale”, spiegano.
Il disaccoppiamento USA-Cina accelera
La rottura tra Stati Uniti e Cina viene interpretata come una tendenza strutturale di lungo termine. “Il disaccoppiamento politico ed economico è iniziato prima dell’annuncio dei dazi di Trump ad aprile ed è proseguito sotto l’amministrazione Biden”, affermano gli esperti di Jupiter AM. “L’intero apparato del governo statunitense, sia repubblicano che democratico, lo sostiene”.
E non solo Washington: anche Paesi alleati come Olanda e Giappone hanno aderito alle restrizioni sull’export verso la Cina, soprattutto nel settore dei semiconduttori. Un esempio eclatante è il divieto imposto a Nvidia sulla vendita dei chip H20 in Cina.
Riorganizzazione delle catene di fornitura
La riconfigurazione delle catene produttive è già in atto. Le aziende, spiegano i gestori, “stanno spostando gli investimenti diretti esteri dalla Cina verso altri Paesi della regione”. A beneficiarne, per ora, sono India e Vietnam, ma anche gli Stati Uniti cercano di riportare la produzione al proprio interno, con risultati ancora da valutare.
Il sentiment delle imprese
Malgrado le incertezze sui dazi, il morale delle imprese resta sorprendentemente positivo. “I dirigenti con cui abbiamo parlato si sono dimostrati ottimisti, anche quelli esposti ai dazi”, raccontano Pidcock e Konrad. Molte aziende operano in settori a bassa concorrenza, dove i clienti non hanno alternative immediate, e prevedono quindi di trasferire i costi ai consumatori.
Il recente calo del prezzo del petrolio ha inoltre alleggerito il conto energetico di molte imprese asiatiche, compensando almeno in parte i rincari legati ai dazi.
Qualità e resilienza: la ricetta per affrontare la volatilità
Il team di Jupiter AM punta su società solide, con bilanci robusti, capaci di superare le oscillazioni dei mercati. “I periodi di volatilità”, affermano, “sottolineano l’importanza di un portafoglio diversificato, in grado di generare performance in molti scenari diversi”.
L’obiettivo è combinare aziende in forte crescita, come quelle tecnologiche, con realtà difensive, meno esposte al ciclo economico. In un momento in cui le strategie commerciali globali sono in piena evoluzione, “continuiamo a vedere buone opportunità in Asia”, concludono i due gestori.