Commodity, metalli industriali: prospettive in chiaroscuro tra incertezze globali e spinte strutturali

Negli ultimi dodici mesi, il settore delle materie prime ha mostrato una performance modesta, penalizzato dalle incertezze macroeconomiche globali. Tuttavia, segnali positivi emergono da mercati emergenti, trend strutturali e politiche energetiche, aprendo scenari interessanti per gli investitori.

Pressioni recessive e sottovalutazione dei rischi

Secondo Stefan Breintner e Manuel Zeuch (ricerca e gestione portafogli) di DJE Kapital, “negli ultimi dodici mesi, i produttori di metalli e i gruppi minerari diversificati non sono stati tra i favoriti sui mercati dei capitali”. La causa principale va ricercata “nella persistente incertezza economica globale, con il timore di una recessione che grava sulle prospettive del comparto”. A detta degli esperti, “questo rischio non è ancora completamente riflesso nei prezzi azionari”, anche se la probabilità stimata di una recessione negli Stati Uniti è attualmente inferiore al 50%.

Un cauto ottimismo nel settore minerario

Durante una recente conferenza organizzata da Bank of America a Barcellona, i vertici delle maggiori società minerarie hanno espresso “un cauto ottimismo”. Come spiegano Breintner e Zeuch, “la situazione in Cina è stata valutata più stabile del previsto e la resilienza del settore minerario resta evidente”. Inoltre, “la domanda per materie prime come ferro e rame dovrebbe rimanere stabile nei prossimi mesi”.

L’India, in particolare, si sta affermando come un nuovo motore di domanda: “sta vivendo una crescita nella produzione di acciaio del 7% annuo, richiamando lo sviluppo cinese del passato”. L’aumento delle importazioni di ferro via mare e l’ambizioso piano di raddoppio della produzione di carbone entro il 2030, insieme alla costruzione di quasi 600 centrali a carbone, potrebbero “compensare gli sforzi di paesi come la Germania verso una transizione energetica carbon neutral”.

Gli effetti della guerra commerciale e dei dazi Usa

Negli Stati Uniti, la politica commerciale sta influenzando la domanda interna di materie prime. “Con meno del 10% della domanda globale, i dazi imposti dagli USA generano costi più elevati per consumatori e industrie locali, riflettendosi in premi di prezzo sui mercati statunitensi”, evidenziano gli esperti di DJE Kapital.

Dal 4 giugno, sono stati introdotti dazi del 50% sull’import di acciaio e alluminio. Se per l’acciaio la produzione domestica è sufficiente, lo stesso non vale per altri metalli: “gli Stati Uniti devono importare circa l’80% del loro fabbisogno di alluminio”. Un maggiore uso di rottami potrebbe ridurre la dipendenza, ma “la carenza di impianti di fusione e la concorrenza nella domanda elettrica, specialmente dall’AI, rappresentano ostacoli significativi”.

Prezzo dell’alluminio ai minimi, ma segnali di inversione

Il prezzo dell’alluminio ha subito un calo del 12% in euro dall’inizio dell’anno. Tuttavia, si intravedono elementi di stabilizzazione. “Le scorte sullo Shanghai Futures Exchange sono diminuite significativamente rispetto all’estate 2024”, osservano Breintner e Zeuch. Inoltre, “il tetto di 45 milioni di tonnellate fissato dal governo cinese per la produzione di alluminio si avvicina”. Questo vincolo, unito al fatto che la Cina rappresenta oltre il 60% dell’offerta globale, potrebbe fornire un supporto ai prezzi futuri.

Rame: un metallo chiave nella transizione energetica

Il rame si conferma un metallo strategico, con una domanda trainata da dinamiche strutturali. “L’espansione delle energie rinnovabili, l’elettrificazione dei trasporti e l’ammodernamento delle reti energetiche rendono positivo l’outlook di medio-lungo termine”, affermano gli esperti di DJE Kapital. Attualmente, il 31% della domanda globale di rame è legata all’infrastruttura energetica.

La crescente richiesta di energia per alimentare i data center, cruciali per le applicazioni dell’intelligenza artificiale, contribuirà ulteriormente alla domanda di rame. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, “nel 2022 i data center hanno consumato circa il 2% dell’energia elettrica mondiale, e la tendenza è in forte crescita”.

Il ritorno del nucleare negli Stati Uniti

L’energia nucleare sta tornando al centro della strategia energetica americana. “Trump intende dichiarare un’emergenza nazionale nucleare per ridurre la dipendenza da uranio importato, specialmente da Russia e Cina”, spiegano Breintner e Zeuch.

A livello globale, l’energia nucleare è vista come “una fonte stabile e carbon free”, cruciale per raggiungere gli obiettivi climatici. Con l’avvio di nuovi cicli contrattuali, scorte in calo e nuovi reattori in costruzione (USA, Cina e India prevedono forti espansioni entro il 2050), “i produttori di uranio potrebbero attrarre crescente interesse da parte degli investitori”. L’offerta, però, resta limitata dopo anni di sottoinvestimenti.

Estrattori di materie prime in difficoltà, ma con margini di rilancio

Come sintetizzano Breintner e Zeuch, “nel primo semestre gli estrattori di materie prime e metalli hanno sottoperformato il mercato generale”. Tuttavia, la stabilizzazione dei mercati emergenti e gli investimenti in infrastrutture energetiche offrono prospettive di rilancio.

“I conglomerati diversificati con esposizione al rame restano attraenti”, concludono gli analisti di DJE Kapital. Inoltre, “in vista della crescita della domanda di elettricità a zero emissioni, i produttori di uranio e le società attive nelle infrastrutture energetiche potrebbero beneficiare di una tendenza strutturalmente positiva nel lungo periodo”.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!