“I dazi sono stati il tema dominante della politica economica fino ad ora”, sottolinea Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim. La prima metà del 2025 si è distinta per un ritorno aggressivo al protezionismo da parte degli Stati Uniti. Secondo l’analista di Cfo Sim, l’approccio dell’amministrazione Trump è stato “più belligerante rispetto al suo primo mandato”, con una gestione imprevedibile e altalenante delle tariffe.
Il Presidente ha modificato la propria posizione commerciale oltre 20 volte in cinque mesi, generando una forte incertezza. “A volte, è sembrato che le conseguenze indesiderate dei dazi siano state comprese solo dopo il loro annuncio”, evidenzia Tognoli. Le misure tariffarie introdotte quest’anno rappresentano uno dei maggiori aumenti fiscali nella storia recente degli Stati Uniti, e le ripercussioni su crescita e inflazione sono già tangibili.
Trattative lente, accordi scarsi
Malgrado le dichiarazioni ottimistiche della Casa Bianca, i risultati concreti delle trattative commerciali restano limitati. “L’amministrazione statunitense ha solo due accordi da mostrare per i suoi sforzi”, puntualizza Tognoli, aggiungendo che i negoziati con partner strategici come Cina, Regno Unito, UE e Giappone procedono con lentezza.
Sebbene si parli di una dozzina di accordi da concludere entro il 9 luglio, l’esperienza suggerisce che “i negoziati commerciali complessivi richiedono tempo, generalmente durando anni anziché mesi”. I possibili accordi, dunque, saranno al massimo cornici negoziali, lasciando le economie più piccole esposte a misure dure e imprevedibili.
Una recessione mai arrivata (per ora)
Nonostante gli indicatori “soft” siano crollati con l’acuirsi della guerra commerciale, quelli reali resistono. “Il tasso di disoccupazione è sostanzialmente stabile”, fa notare Tognoli, “con richieste di sussidi di disoccupazione basse e annunci di licenziamenti ancora rari”.
Eppure, le nubi non mancano. Il conflitto in Medio Oriente, la stretta sull’immigrazione e il calo dei fondi alla ricerca pesano su diversi settori. L’economia globale è scossa anche da tassi d’interesse in rialzo e da bilanci pubblici sempre più sotto pressione. “I costi del servizio del debito sono diventati la componente in più rapida crescita di molti bilanci nazionali”, avverte l’analista.
Eccezionalismo americano in discussione
“La prima metà di quest’anno ha sollevato interrogativi sull’eccezionalismo americano”, scrive Tognoli, riferendosi al ruolo di leadership globale che gli Stati Uniti hanno storicamente rivendicato. Oggi, il ritiro parziale dal commercio globale e le incertezze geopolitiche stanno minando la fiducia internazionale.
Il dollaro ha perso circa il 10% da inizio anno, e gli investitori hanno iniziato a diversificare il rischio, spostando capitali verso altri paesi e verso l’oro. “Alcuni analisti hanno definito questo l’inizio della fine dell’egemonia statunitense”, osserva Tognoli, pur giudicando questa visione eccessiva. “I mercati si sono stabilizzati e hanno registrato buone performance” nel secondo trimestre, conclude.
Immigrazione, un nodo economico e sociale
“La legge è la legge”, afferma Tognoli, commentando il giro di vite sull’immigrazione imposto dall’amministrazione Trump. La retorica del “Make America Great Again” si scontra con la realtà economica: “alcuni luoghi di lavoro sono presi di mira per catturare lavoratori senza documenti, a dimostrazione di quanto gli immigrati siano importanti per certi settori”.
Le aree con alta presenza di stranieri stanno subendo un calo dell’attività economica, e la stretta sui flussi rischia di trasformarsi in uno shock dell’offerta.
La globalizzazione si frantuma
La globalizzazione, che per decenni ha sostenuto la crescita economica mondiale, è sempre più in crisi. “Le nazioni si stanno allontanando l’una dall’altra dalla crisi finanziaria del 2008”, ricorda Tognoli. Le difficoltà delle catene di approvvigionamento emerse durante la pandemia hanno rafforzato il desiderio di riportare la produzione entro i confini nazionali.
“La minaccia di dazi e sanzioni ha portato la situazione a un nuovo livello”, osserva l’analista. Le imprese americane stanno tentando di riorganizzare le catene produttive, ma trovare alternative convenienti alla Cina, specie in settori strategici come l’elettronica, si rivela complesso.
Verso un mondo multipolare e instabile
Con gli Stati Uniti meno coinvolti nel mantenimento dell’ordine globale, “la riorganizzazione della globalizzazione verso un sistema economico globale multipolare e regionalmente frammentato continuerà ad accelerare”, conclude Tognoli. Una transizione che promette instabilità e shock, tanto sui mercati finanziari quanto sulle economie reali.