La partita più grande

Di Chris IggoChief Investment Officer, Fixed Income di Axa IM

Settimana scorsa le banche centrali hanno avuto un ruolo di primo piano nei mezzi di informazione: Mario Draghi alla conferenza stampa dopo l’incontro della Banca Centrale Europea ha dichiarato che lui e i suoi colleghi non hanno discusso un prolungamento del Quantitative Easing in Europa, mentre Mark Carney ha detto al Treasury Select Committee, la commissione del Tesoro britannico, di sentirsi “sereno” in merito agli interventi con cui la Banca d’Inghilterra ha impedito un disastro economico post-Brexit.

Le vicende delle banche centrali sono diventate quasi una forma di intrattenimento, con questo atteggiamento del “so tutto io” che riscontriamo anche tra gli allenatori di calcio. Ho detto quasi (speriamo che Pep e Jose sabato ci facciano divertire di più). Le banche centrali sono ancora responsabili per le dinamiche dei mercati obbligazionari.

Nei prossimi mesi c’è spazio per un nuovo QE da parte della BCE se la situazione economica lo richiede, ma sembra che la banca centrale voglia assicurarsi che eventuali stimoli aggiuntivi siano ben progettati e in grado di superare i vincoli attuali. Ci riferiamo in particolare alle modalità con cui il piano di acquisto di titoli attualmente impedisce alla BCE di acquistare obbligazioni che rendono meno del tasso sui depositi, e inoltre tende a favorire gli acquisti di titoli di Stato core rispetto ai paesi periferici.

La reazione a breve termine è stata un crollo delle obbligazioni, ma in realtà la BCE continuerà ad acquistare titoli e sarà imitata anche dalla Banca d’Inghilterra che inizierà ad acquistare obbligazioni societarie denominate in sterline. Una eventuale debolezza dei mercati obbligazionari nel breve periodo probabilmente dipenderà dalle prospettive dell’economia globale, dall’aspettativa che Federal Reserve alzi o meno i tassi a settembre o dicembre, e semplicemente dalle prese di profitto con cui gli investitori incassano i forti guadagni accumulati con le obbligazioni globali finora nel 2016.

Siamo all’autocompiacimento? Una view di lungo periodo ribassista per le obbligazioni è predicata sulle valutazioni e sulla compressione dei premi per il rischio nei mercati del credito e dei tassi di interesse. Coi rendimenti così bassi, la probabilità di registrare una perdita nei portafogli obbligazionari è più alta in caso di aumento della volatilità. E questo è l’elemento di interesse in questo momento.

La volatilità sui mercati obbligazionari è stata piuttosto contenuta fino alla reazione ribassista dovuta alla decisione della BCE di non stampare nuova moneta. Dall’inizio di luglio, il range sul rendimento dei Treasury decennali è stato di soli 29 punti base. Uno schema simile si rileva sul mercato dei Bund tedeschi, mentre i Gilt sono stati un po’ più attivi con l’introduzione della nuova politica monetaria da parte della Banca d’Inghilterra ad agosto.

La volatilità è rimasta bassa anche in altri mercati, l’indice S&P 500 ha registrato un rialzo dei prezzi su base giornaliera inferiore all’1%. I mercati dei cambi sono stati relativamente tranquilli, il tasso di cambio eurodollaro scambia tra 1,10 e 1,14 dollari da inizio estate. Anche l’oro e il petrolio sono rimasti relativamente stabili rispetto alle oscillazioni degli ultimi due anni.

Questa calma sui mercati si è riflessa sulla volatilità, con l’indice VIX su bassi livelli. Credo che una spiegazione per queste dinamiche sia che la stabilità del mercato riflette prospettive macroeconomiche stabili, con crescita e inflazione su bassi livelli, una politica monetaria sostanzialmente invariata e per il momento la mancanza di sviluppi politici che implicano un premio per l’incertezza. O forse è solo una sorta di autocompiacimento dei mercati.

Rischio sistemico La scorsa settimana ho iniziato a riflettere sulla stabilità del sistema finanziario. Ho incominciato a leggere una ricerca della Federal Reserve sui metodi per monitorarla. Il saggio è stato scritto dopo la crisi finanziaria (2013), quindi potrebbe sembrare il tentativo tardivo di evitare un problema che si è già concretizzato. Comunque può essere un utile punto di riferimento per esaminare le vulnerabilità del sistema finanziario.

Più è vulnerabile il sistema finanziario, maggiori saranno i rischi di uno shock esterno e di conseguenza maggiori saranno anche i danni all’economia reale sotto forma di perdite di ricchezza e contrazione della disponibilità di credito. Questi fattori di vulnerabilità del sistema possono dipendere dalla determinazione del prezzo degli strumenti finanziari (premi per il rischio), dalla leva finanziaria, dalla liquidità e dal disallineamento delle scadenze, dalle interconnessioni tra le controparti finanziarie e dalla complessità dei rapporti e dei prodotti finanziari.

Queste caratteristiche erano piuttosto evidenti prima del 2008. Inoltre, l’inasprimento delle norme dopo la crisi è stata una risposta a questi fattori, soprattutto per quanto concerne la leva finanziaria, le interconnessioni e le complessità del sistema.

Un monitoraggio difficile Una cosa è definire lo schema concettuale per monitorare la vulnerabilità finanziaria, un’altra farlo in pratica a causa della carenza di dati, del fatto che i dati si riferiscono prevalentemente ad eventi passati e che gli indicatori del rischio basati sul mercato sono di per sé soggettivi e condizionati dal livello complessivo dei premi per il rischio.

Un elemento importante è certamente la determinazione dei prezzi degli strumenti finanziari. La compressione dei premi per il rischio, in gran parte il risultato del QE, implica che i prezzi degli asset possono scendere molto in caso di shock esterni (variazione della politica monetaria, rallentamento della crescita, crisi politica). La correzione del mercato ha implicazioni potenzialmente negative per l’effetto ricchezza e l’impatto sulla fiducia di consumatori e imprese. Tuttavia, occorre valutare anche altri fattori, tra cui il grado di leva finanziaria tra mutuatari e investitori, il disallineamento delle scadenze (ovvero fino a che punto le posizioni a lungo sui mercati finanziari sono finanziate dalle passività a breve termine) e il grado di disallineamento della liquidità (potenzialmente un problema per i fondi comuni e gli ETF dove la liquidità delle quote del fondo è maggiore rispetto alla liquidità del patrimonio di cui dispone). Tipicamente, nei periodi in cui i premi per il rischio sono ridotti e la leva finanziaria elevata, gli standard di sottoscrizione per le nuove emissioni sono più bassi, mentre aumentano le emissioni da parte di istituti con un’affidabilità di credito inferiore.

Nell’eventualità di uno shock potremmo assistere alla vendita forzata di questi asset che in ultima analisi inciderebbe sul capitale e sulla capacità operativa del canale di credito. Certamente durante la crisi le interconnessioni e la complessità incisero sulla gravità dello shock finanziario, ovvero il grado di connessione delle banche attraverso le posizioni in derivati, il finanziamento di veicoli di investimento speciali che detenevano strumenti cartolarizzati complessi, oltre all’inadeguatezza del capitale e alla liquidità limitata in molte parti del mercato.

Attenzione alla leva finanziaria Si spera che molti dei fattori di vulnerabilità esistenti nel 2008 siano stati ridotti da requisiti più rigorosi sul capitale obbligatorio e altre norme. La mia preoccupazione principale riguarda la compressione dei premi per il rischio. La ricerca della Federal Reserve associa tali sviluppi a un peggioramento di altre cause di vulnerabilità, leva finanziaria, allentamento degli standard, liquidità e disallineamento delle scadenze e, potenzialmente, a una maggiore complessità (in un contesto caratterizzato da bassi rendimenti emergono prodotti che promettono rendimenti più alti attraverso un maggiore uso degli strumenti derivati o un aumento della leva finanziaria, per esempio).

La valutazione della gravità della situazione va ben oltre lo scopo di questo blog, ma ho la sensazione che la questione relativa alla leva finanziaria, agli standard di credito e alla complessità non sia critica in questo momento. Vale comunque la pena di prestare attenzione a questi elementi se i premi per il rischio restano compressi. Certamente c’è stato un aumento delle emissioni di obbligazioni societarie dalla fine dell’estate, persino il mercato in sterline ha registrato un incremento dell’attività.

La pressione sulle banche per incrementare il credito deve produrre un aumento della leva finanziaria e del rapporto tra impieghi e raccolta, anche se i cuscinetti di capitale oggi sono più solidi. Inoltre, la liquidità ha rappresentato una fonte di preoccupazione continua nel mercato obbligazionario poiché gli investitori in settori come l’high yield temono per la capacità del gestore di vendere obbligazioni e incrementare la liquidità in un mercato ribassista, soprattutto con la crescita degli ETF.

Indubbiamente oggi il sistema finanziario è più sicuro rispetto al 2008, e le possibilità di un’amplificazione dei rischi sono ridotte, tuttavia i premi per il rischio sono più compressi oggi, e la paura principale per la maggior parte degli investitori è innanzi tutto la correzione dei prezzi degli asset e secondariamente le possibili conseguenze sullo scenario economico e finanziario più in generale.

Serve più cautela? La questione è molto più ampia e non riguarda solo i prezzi degli strumenti finanziari. A livello macroeconomico dobbiamo considerare le tendenze complessive del debito delle famiglie, la leva finanziaria corporate e la situazione fiscale dei governi. Nessuno di questi fattori in questo momento è fonte di preoccupazione grazie al processo di deleveraging degli ultimi anni. Il mercato immobiliare è in miglioramento e gli indicatori di stress correlati a questo settore, come le insolvenze sui mutui ipotecari, continuano a scendere negli Stati Uniti.

Le politiche prudenziali della Banca d’Inghilterra hanno frenato l’attività nel mercato immobiliare, anche se i prezzi sono ancora alti e in aumento, sebbene a un ritmo più lento a causa delle variazioni dell’imposta di bollo all’inizio dell’anno e dell’impatto della Brexit sulla fiducia. Ma tutti questi fattori sono interconnessi. Un calo dei prezzi degli asset, che incide sulla ricchezza e riduce la fiducia, potrebbe riversarsi sui prezzi degli immobili, sulla domanda di credito, sugli standard di credito e sulla capacità di rollover dei mutuatari. L’economia finanziaria è un organismo complesso che gli economisti non hanno ancora compreso pienamente, né è facile delineare dei modelli per tutti i rapporti esistenti.

Allora cosa facciamo? Ci concentriamo su quello che vediamo e sentiamo, cercando di proteggere i nostri portafogli da correzioni non volute. A fronte del livello attuale dei premi per il rischio sul mercato obbligazionario, serve ridurre la duration, investire in titoli di credito di più alta qualità, un po’ di liquidità in portafoglio rispetto a obbligazioni con rendimenti bassi o negativi, oltre a proteggersi contro l’aumento dell’inflazione.

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