Le materie prime interrompono il trend negativo, il petrolio è nervoso

A cura di Ole Hnasen, Head of commodity strategy, Saxo Bank
Le materie prime si sono impennate per la prima volta in tre settimane con acquisti su ampia scala che hanno supportato la maggior parte dei settori. Il dollaro ha continuato ad indebolirsi e questo probabilmente ha contribuito in parte alla crescita della domanda.
Il settore dell’energia ha ricevuto una grande spinta da un crollo delle scorte di greggio degli Stati Uniti, mentre nei mercati dei cereali si è assistito al ridimensionamento delle posizioni short legato al report mensile del Dipartimento dell’Agricoltura americano pubblicato il 12 settembre.
Anche i metalli preziosi hanno ricevuto una spinta, questa volta legata ai dati economici degli USA più deboli rispetto alle previsioni. Tuttavia, questo rally limitato dalla debolezza del dollaro è un segnale del fatto che gli investitori non sono pronti a sostenerlo.
I metalli industriali si sono mossi tra l’andamento positivo di nichel e rame, in qualche modo compensato dalla debolezza di piombo e zinco. Il rame è cresciuto rispetto ai valori bassi degli ultimi due mesi, ma sono evidenti le difficoltà di spingersi oltre, con un dollaro che compensa i fondamentali più deboli.
L’oro è cresciuto molto la scorsa settimana poiché i dati economici degli USA hanno contribuito a indebolire il dollaro e i rendimenti obbligazionari. Dopo aver trovato resistenza sopra ai $1,350, sono ripartite le prese di profitto, emerse in seguito al meeting di giovedì scorso della Banca Centrale Europea, in cui il presidente Mario Draghi ha raffreddato la speculazione relativa ad un ulteriore allentamento della politica monetaria.
Nonostante questo abbia contribuito a indebolire il dollaro, la mancanza di un ulteriore rialzo è un chiaro segnale del fatto che gli investitori non siano pronti, in questa fase, a determinare un aumento del prezzo. I rendimenti dei bond a 10 anni di Stati Uniti e Germania sono cresciuti in modo significativo in un mese. Ciò dimostra come i mercati obbligazionari siano diventati dipendenti da politiche monetarie sempre più semplici.
Fari puntati sull’incontro del Federal Open Market Committee del 21 settembre: nonostante i recenti dati economici deboli, il FOMC potrebbe decidere di alzare i tassi per non perdere di credibilità dopo le recenti dichiarazioni che presagivano il mantenimento di una linea dura.
Gli investitori di fondi negoziati in borsa legati all’oro hanno fondamentalmente mantenuto la stessa posizione nelle ultime cinque settimane mentre i tactical traders, come gli hedge fund, hanno aumentato le loro esposizioni short in sei delle ultime otto settimane.
Nel breve periodo ci aspettiamo che il supporto si muova tra $1,334 e $1,328. Tuttavia, un break annullerebbe i recenti miglioramenti e potrebbe riportare l’oro fino a $1300. Da una prospettiva di lungo periodo, ipotizziamo un ritorno (ma anche un rifiuto) dei $1250 pre-Brexit, che sarebbe una buona base da cui provare a risalire di nuovo.
L’oro è tornato a $1336, il prezzo medio del periodo post-Brexit. La volatilità del greggio rimane elevata, ma continua a scambiare entro i valori stabiliti. Dopo un forte rally nel mese di agosto, legato alle speculazioni relative al congelamento della produzione, il mercato cede alla rinnovata ondata di vendite, forte della convinzione che i produttori Opec e non-Opec non sono ancora pronti a trovare un accordo.
La scorsa settimana il mercato è cresciuto a causa della debolezza del dollaro e della diffusione della notizia riguardante le scorte di greggio degli Stati Uniti, che hanno subito il maggiore declino settimanale (pari a 14 milioni di barili) dal 1999.
Questo è stato causato da un crollo delle importazioni di circa 2 milioni di barili al giorno, a sua volta legato alla chiusura di un porto sulla costa del Golfo e alla tempesta tropicale Hermine, che ha causato problemi alle petroliere, costringendole a cambiare le rotte. Abbiamo quindi a che fare con un evento isolato, che non dovrebbe rappresentare un’inversione di tendenza stabile se le scorte aumentassero nelle prossime settimane.
Il report settimanale sull’andamento del petrolio ha messo in evidenza una costante e forte domanda di raffineria che si discosta dai trend stagionali mentre la stima sulla produzione di petrolio ha toccato il punto più basso dell’anno. Questo potrebbe significare che il rifiorire delle piattaforme petrolifere a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi ha contribuito solamente a rallentare ma non ad invertire il declino della produzione iniziato lo scorso luglio.
Susciterà grande attenzione l’incontro dell’International Energy Forum, che si terrà ad Algeri il 26-28 settembre, nel quale i produttori Opec e non-Opec avranno l’opportunità di analizzare la situazione del mercato. A nostro parere, se Russia e Arabia Saudita decidessero di collaborare e stabilizzare i mercati, un accordo in questa fase ad un prezzo di 50$ è improbabile.

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