Il settembre delle Banche Centrali

A cura di Alfonso Maglio, portfolio manager di Marzotto Sim
In Europa concrete aspettative di una progressiva riduzione del QE in favore di una politica fiscale che potrebbe avvantaggiare il settore bancario. FED verso l’aumento dei tassi, BOJ si focalizza sul controllo della curva dei rendimenti.
Un mese, due date, 3 banche centrali sembrano gli indizi di un film noir. In realtà sono gli elementi che hanno contraddistinto questo settembre come uno dei mesi più “caldi” dell’anno proprio perché ha visto la riunione di BCE, FED E BOJ tre banche centrali che stanno agendo in maniera molto diversa tra loro come non accadeva da decenni.
Possiamo dire che ai due estremi vi siano FED in modalità restrittiva ed ECB in modalità espansiva e come elemento di raccordo la BOJ che pur rimanendo in modalità ultraespansiva ha variato la qualità del proprio intervento. Ma vediamo i punti più rilevanti degli statements delle tre banche.
L’ultima in ordine di tempo a riunirsi è stata la FED che con un nulla di fatto ha lasciato i tassi invariati. Le attese del mercato sono state rispettate in pieno, ma aumentano le attese di rialzo entro fine anno (due meeting ancora). Le ragioni per le quali i tassi non sono stati alzati sono state abbastanza generiche e possono essere sintetizzate come “i motivi per alzare ci sono, ma preferiamo far correre ancora un pò l’economia”. Un bel dietro front, dopo le dichiarazioni fatte a Jackson Hole ma subito dopo ammorbidite dallo dallo speech di Brainard nell’ultimo giorno antecedente al black period. Attese di mercato rispettate.
Sempre il 21 si è riunita la BOJ. Anche la banca centrale nipponica lascia invariati sia i tassi a -0.1% che il programma di acquisto di titoli di stato a 80 trilioni di Yen. L’elemento più rilevante del proprio statement riguarda però la variazione qualitativa del QE in atto. Il focus si sposta infatti dalla base monetaria al controllo della yield curve con un target per i tassi a lungo intorno allo zero. Ennesima capitolazione, quindi, da parte di una banca centrale sugli gli effetti collaterali di tassi “troppo” negativi. Gli 80 trilioni di Yen saranno quindi utilizzati in maniera discrezionale modulando sia l’entità dell’acquisto specifico che il tratto di curva da “colpire” di volta in volta. Tutto questo si tradurrà probabilmente in uno steepening della curva a tutto vantaggio di banche e fondi pensione la cui redditività è fortemente legata ai titoli di stato ed al mercato monetario. Attese di mercato superate.
Veniamo ora al Vecchio continente e all’outcome della riunione della BCE dello scorso 8 settembre. Potremmo sintetizzarla come una “sana delusione”. Non essendovi alcun dubbio circa il lasciare i tassi (negativi) invariati, sui cui effetti collaterali Draghi ha ampiamente disquisito nel recente passato, l’intero mercato era concentrato sulla estensione del QE. L’attenzione su questo è particolarmente alta in quanto, in Europa, più che in altre aree, il mercato dei bond è sostenuto quasi esclusivamente dalla immissione di liquidità della BCE. E’ chiaro quindi come tutti siano concentrati ad intercettare ogni segnale di variazione dell’attività della BCE la cui azione è peraltro percepita essere in efficacia decrescente. Per rendere l’idea di quanto la situazione sia “calda” è bastato che Draghi non prorogasse, come da attese, il Q.E. – non ancora scaduto – fino a settembre 2017, per provocare una brusca reazione su tutte le asset classes.
La reazione è stata molto forte e, al di là della delusione sulla proroga, potrebbe essere  spiegata con la concreta aspettativa di una progressiva riduzione del QE a favore di politiche di stimolo che colpiscano l’economia reale nel concreto come la politica fiscale.
Se questa idea prendesse piede verrebbe meno tutto il sostegno dato finora al mercato dei bond. Ma non tutti i mali vengono per cuocere. L’eventuale switch da politica monetaria a politica fiscale in Europa e un controllo mirato della curva in Giappone avrebbe l’obiettivo di steeppare la curva dei rendimenti che finora ha tanto penalizzato il settore bancario assicurativo e dei fondi pensione.
Proprio il tanto vituperato settore bancario potrebbe beneficiare di questo nuovo contesto. Almeno in linea teorica infatti tassi a lungo più alti aumenterebbero il margine di intermediazione migliorando la profittabilità delle banche ed  aumentando la possibilità di carry trade. D’altro canto però il rialzo dei tassi a lungo renderebbe più allettante l’investimento in bond e ci potrebbe essere un travaso di liquidità verso le obbligazioni a scapito delle azioni che per effetto del rialzo del risk free sarebbero penalizzate in tutti i modelli valutativi.

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