Tra rischio e correlazione

A cura di Tristan Hanson, M&G Investments
(I) Correlazione obbligazionaria/azionaria: Nel corso di un nostro recente offsite di investimento trimestrale, è sorto un interessante dibattito sulla correlazione tra obbligazioni e azioni. Un partecipante ha suggerito che obbligazioni e azioni negli Stati Uniti fossero state positivamente correlate negli ultimi anni, mentre un altro ha sostenuto che la correlazione tra le due asset class fosse stata negativa. Com’è possibile questa differenza di vedute su fatti storici? Chi ha ragione?
In realtà, entrambi, ma parlavano prendendo in considerazione un orizzonte temporale diverso. Forse in modo sorprendente, ciò può condurre alla conclusione opposta anche quando si considerano dati storici.
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Il grafico 1 traccia il rendimento totale dell’indice azionario S&P 500 rispetto alla performance dei Treasury a lunga scadenza negli ultimi 10 anni.  In brevi periodi di settimane e mesi, le due linee sembrano muoversi regolarmente in direzioni opposte, quindi una correlazione negativa.
Quando i rischi di crescita sono divenuti predominanti (come durante la crisi finanziaria del 2008 o all’inizio di quest’anno) le obbligazioni hanno generato buone performance mentre le azioni hanno registrato risultati deludenti. Vale anche il contrario quando le aspettative di crescita aumentano, come nel 2009. Misurate utilizzando correlazioni giornaliere o settimanali su base mobile, le obbligazioni e le azioni sono chiaramente state correlate negativamente in media in questo periodo.
Ma che problema è questo per un investitore con un orizzonte temporale di diversi anni, quale un quarantenne che sta accantonando risparmi per il suo pensionamento? Se prendiamo in considerazione il periodo di 10 anni, sia le obbligazioni che le azioni hanno determinato rendimenti significativi (molto simili) e decisamente brillato rispetto allaliquidità: una correlazione positiva.
Considerando il periodo complessivo, in particolare post-2008, un’assenza di inflazione e tassi di interesse molto modesti (e altre politiche delle banche centrali quali l’allentamento quantitativo) hanno sostenuto solide performance sia delle obbligazioni che delle azioni.
Pertanto la correlazione non è sempre un concetto semplice quanto si possa pensare e dobbiamo considerare l’orizzonte temporale quando vi facciamo riferimento.
(II) Le correlazioni non sono costanti. Come già accennato, i tassi di interesse reali sono a livelli storicamente bassi da lungo tempo ormai e questo è stato un fattore importante alla base dei notevoli rendimenti in eccesso delle obbligazioni e delle azioni rispetto alla liquidità negli ultimi anni.
Se il contesto di politica monetaria dovesse cambiare in modo significativo nei prossimi anni, ci sarebbero implicazioni notevoli per le performance degli asset finanziari. Con un orizzonte temporale pluriennale, un aumento sostanziale dei tassi di riferimento reali (ad esempio 300-400 bps) avrebbe un effetto molto negativo sui rendimenti di numerosi titoli di Stato mainstream, date le valutazioni attuali.
Forse abbiamo meno certezze su come si comporterebbero le azioni, in quanto una contrazione monetaria simile avverrebbe unicamente in un contesto di buona crescita nominale, ma a ragione potremmo aspettarci una loro battuta d’arresto negli Stati Uniti rispetto alle valutazioni attuali, sicuramente su fasi periodiche.
In questo scenario ipotetico, la correlazione di lungo termine resta positiva, con rendimenti rispetto alla liquidità determinati dalla direzione dei tassi di riferimento effettivi (e probabilmente dai premi al rischio di inflazione), mentre l’effetto sulla correlazione a breve termine potrebbe cambiare divenendo anch’esso positivo, o forse oscillare in modo estremamente volatile.
Il grafico 2 mette in luce la natura variabile della correlazione nel tempo.
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Buona parte del periodo fino a metà anni novanta del secolo scorso ha offerto un contesto di correlazione molto diverso per obbligazioni e azioni, quando i rendimenti erano correlati positivamente. Questo è stato particolarmente vero negli anni settanta, durante i quali i rendimenti per entrambe le asset class sono stati determinati da grossi cambiamenti nelle tendenze di inflazione.
Per gli ultimi 20 anni, la correlazione a più breve termine è stata quasi sempre negativa, ma ci sono stati periodi con inversioni di tendenza, quindi in territorio positivo, come durante la crisi di nervi da tapering del 2013 e occasionalmente anche più di recente (come mostrato nel grafico 3, che illustra le correlazioni settimanali).
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Il grafico chiarisce che gli schemi di correlazione non sono costanti nel tempo, con implicazioni importanti per l’allocazione degli asset e la costruzione del portafoglio.
(III) La natura del rischio. Siamo fermamente convinti che il rischio reale di cui gli investitori dovrebbero preoccuparsi sia rappresentato da una diminuzione prolungata (o permanente, in senso stretto) del capitale, e non dalla volatilità di breve termine.  Il nostro approccio “Episodico” di investimento  è incentrato proprio su questa filosofia.
James Montier condivide questo punto di vista ma offre anche un’utile classificazione del rischio (nel senso permanente) come proveniente da almeno una di tre fonti: (I) rischio operativo o di business; (ii) rischio finanziario/di bilancio; (iii) rischio di valutazione.
Le prime due categorie sono chiaramente applicabili alle azioni ma non dovrebbero applicarsi ai titoli di Stato in Paesi con la propria banca centrale (N.B. Come ha mostrato la crisi dell’euro, il rifinanziamento del debito è un rischio se non si ha un creditore d’ultima istanza), almeno in termini nominali.
Tuttavia, la terza classificazione riguarda praticamente tutti gli asset, obbligazioni incluse: Il prezzo che si pagaaltera decisamente le proprietà di rischio dello stesso asset.
In tal modo, dovrebbe essere chiaro che le misure statistiche di rischio – e le percezioni del rischio – prese dal comportamento dei prezzi visto di recente sono spesso con tutta probabilità diametralmente opposte a riflessioni offerte dalla considerazione del valore e la natura del rischio (permanente) di cui dovremmo preoccuparci.
La recente ondata di vendite dei bond a lungo termine dei paesi del G7è illustrativa. Negli ultimi mesi, le valutazioni di obbligazioni a lungo termine in Europa, Giappone e Regno Unito in particolare sono divenute molto estreme in termini del percorso di eventi futuri richiesti per giustificare il prezzo di mercato prevalente.
Trenta o quarant’anni fa, le obbligazioni erano percepite come incredibilmente rischiose. Il sentiment prevalente aveva accordato a quegli asset tassi di rendimento reali a scadenza elevati. I rendimenti successivi sono stati ancora più spettacolari del previsto, in quanto l’inflazione e le strutture dei tassi di interesse reali sono scese anche molto più del previsto.
Oggi, buona parte dei titoli di Stato mainstream è percepita come sicura, sostenuta dalle banche centrali e dagli acquisti di fondi pensionistici e una capitolazione delle convinzioni ha lasciatospazio a teorie di stagnazione secolare. La conclusione è semplice: non solo le performance attese sono estremamente basse, ma alcuni titoli di Stato sono divenuti anche molto più rischiosi.

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