Oro, più inflazione o più incertezza? Metallo giallo a un bivio

A cura di Nevine Pollini, Senior Analyst Commodities di Union Bancaire Privée

Dopo la vittoria di Trump, il prezzo dell’oro è stato spinto al ribasso fino ai minimi di cinque mesi e mezzo poiché, dopo lo shock iniziale, il dollaro ha recuperato, i rendimenti dei bond si sono impennati e il mercato azionario è salito (una correlazione inusuale). Tutto ciò si è verificato sulla base delle aspettative che le proposte elettorali diventino realtà.
Le promesse di Trump di stimoli fiscali maggiori (ad esempio, sotto forma di taglio delle tasse e spesa per infrastrutture), combinati con un protezionismo sul commercio (che farebbe aumentare prezzi delle importazioni), avranno sicuramente un effetto reflazionistico sull’economia americana, portando a un possibile aumento dell’inflazione, specialmente in un’economia che sembra essere piuttosto solida e in cui il mercato del lavoro è abbastanza forte. Il vice presidente della Fed, Stanley Fischer, ha dichiarato, subito prima delle elezioni, che l’economia statunitense “…supera i nostri target sull’occupazione e sull’inflazione”.
Da ciò ne deriva che la Fed probabilmente dovrà aumentare i tassi in modo più aggressivo rispetto alle attese, il che sicuramente sarà dannoso per il prezzo dell’oro. Un rialzo dei tassi nel mese di dicembre ormai è pienamente atteso e ce ne potrebbero essere altri nel 2017.
Tuttavia, dopo l’esito a sorpresa del voto americano e del referendum sulla Brexit, crediamo che il metallo giallo non debba essere completamente accantonato; potrebbe benissimo tornare alla ribalta con l’avvicinarsi del referendum italiano e delle elezioni in Austria, Francia e Germania, dove il rischio di anti-globalizzazione e di affermazione di trend politici populisti e delle incertezze che questi potrebbero creare sui mercati globali non dovrebbe essere sottostimato.

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