Giudizio positivo sulla Russia dopo l’accordo dell’Opec

A cura di H. Bain e C. Bannon, Senior Investment Managers di Pictet AM

Per la prima volta in otto anni, l’Opec ha acconsentito a ridurre la produzione di petrolio. Al di là dei rischi di implementazione, il pieno rispetto dell’accordo recentemente annunciato dovrebbe avere un forte impatto sulla dinamica domanda/offerta a livello globale. A nostro avviso tale svolta riduce drasticamente le probabilità di una correzione del prezzo del greggio nel 2017. Di conseguenza, per il prossimo anno prevediamo un’ulteriore flessione del premio di rischio sull’azionario russo.

In generale, gli ultimi sviluppi politici ed economici, compresa la possibile elezione di Francois Fillon in Francia e la recente vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, sembrano promettere molto bene per gli asset russi nel 2017. Qualora si materializzasse uno scenario positivo, con il petrolio a $60-70/bbl e l’eliminazione delle sanzioni sulla Russia, il mercato locale godrebbe di un maggior potenziale di rialzo, non solo in termini di prezzi degli asset ma anche di vigore del rublo.

Il 30 novembre 2016 i Paesi Opec hanno raggiunto un accordo per tagliare la produzione di petrolio. È la prima volta in 8 anni che il cartello prende una decisione simi- le. L’intesa prevede target precisi per ciascun Paese e mira a una riduzione della produzione a 32,7Mbbl al giorno, 1,3Mbbl al giorno in meno rispetto ai livelli di ottobre 2016. Libia, Nigeria e Indonesia non sono inte- ressate da tali misure, mentre all’Iran è stato concesso un lieve aumento dell’output. Arabia Saudita, Iraq e altri Stati membri opereranno, in media, tagli del 4,6%.

Sulla scia della decisione dell’Opec, si attende che anche la Russia e altri Paesi produttori non appartenenti all’organizzazione (Kazakistan e Oman) riducano la pro- duzione di 0,6Mbbl al giorno (Mosca ha già indicato un possibile target di -0,3Mbbl al giorno). In tal modo, l’offerta totale  scenderebbe  a 1,8Mbbl al giorno. La riunione con i Paesi non membri prevista a Doha per il 9 dicembre verterà proprio su questo punto.

Ora che l’accordo c’è, il mercato si concentrerà sull’attuazione delle decisioni prese. Poiché le nuove disposizioni saranno valide solo da gennaio, occorrerà attendere i primi mesi del 2017 per valutarne l’efficacia. Al di là dei rischi di implementazione, il pieno rispetto dell’accordo dovrebbe avere un forte impatto sulla dinamica domanda/offerta e sui livelli delle scorte a livello globale. Secondo Bernstein, la prevista riduzione di 1,8Mbbl al giorno in totale potrebbe comportare nel 2017 un difetto di offerta pari a 0,9Mbbl/giorno e, di conseguenza, un calo delle scorte mondiali di 300Mbbl. Le scorte dovrebbero quindi tornare alle medie di lungo periodo. Di fatto, il pieno rispetto dell’accordo porterebbe a una situazione di equilibrio nel corso del prossimo anno.

A nostro parere in un mercato bilanciato il prezzo del petrolio sarebbe pari al costo marginale dell’offerta non OPEC, che, secondo le stime più recenti, ricade in un intervallo di $65-$75 a livello globale. È a questo prezzo che la filiera mondiale è incentivata ad aumentare l’offerta allo stesso ritmo della domanda, tenendo in equilibrio il mercato. Prezzi artificialmente elevati, come nel periodo 2011-2014, finirebbero  per danneggiare l’Opec in quanto favorirebbero un nuovo eccesso di offerta di shale oil americano e potrebbero anche distruggere la domanda incentivando la ricerca di fonti alternative più competitive, come le energie rinnovabili.

Nel breve periodo prevediamo un sano scetticismo sul rispetto degli accordi, che terrà a freno i prezzi. Probabilmente il mercato non vorrà pagare di più fino a che non si avranno prove certe del nuovo equilibrio. Inoltre, l’accordo dovrebbe stabilire una soglia minima di prezzo, poiché Paesi Opec e Russia, che insieme controllano il 50% del mercato, sembrano intenzionati a collaborare per ripristinare l’equilibrio. Per il 2017 il nostro scenario di base prevede prezzi fra 50 e 60 dollari al barile.

Quanto alla Russia, da tempo sosteniamo che il Paese sarebbe esposto a un rischio sistemico qualora il greggio scendesse attorno ai $20/bbl. È a questi livelli che il free cash flow delle compagnie petrolifere diventa negativo e la sostenibilità della produzione vacilla. Non sorprende quindi che la Russia intenda fare la sua parte nella riduzione dell’offerta non Opec. Nel 2017 Mosca sarebbe disposta a tagliare 300.000 barili al giorno. Anche se resta da vedere in che modo verranno attuati questi tagli, i vertici aziendali sembrano favorevoli a una diminuzione della produzione.

A nostro avviso l’accordo dell’Opec riduce drasticamente le probabilità di una correzione del prezzo del greggio il prossimo anno. Di conseguenza prevediamo un’ulteriore flessione del premio di rischio sull’azionario russo. In generale, gli ultimi sviluppi politici ed economici, compresa la possibile elezione di Francois Fillon in Francia e la recente vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, sembrano promettere molto bene per gli asset russi il prossimo anno.

Se dovesse concretizzarsi uno scenario positivo in cui il petrolio scambia a $60-70/bbl e vengono meno le sanzioni alla Russia, il listino russo godrebbe di un potenziale di rialzo ancora maggiore, non solo in termini di prezzi degli asset, ma anche di robustezza del rublo.

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