Il nuovo anno cinese tra bolla del credito e accordi commerciali

A cura di Bny Mellon Investment Management

Il 28 gennaio inizia il Nuovo Anno Cinese. Ecco cosa si prospetta nell’anno del “gallo rosso” per il colosso asiatico.

Gli USA lasciano campo libero alla Cina in Asia Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di abbandonare la Trans-Pacific Trade Partnership (TTP) in favore di accordi commerciali con i singoli Paesi asiatici. Questo potrebbe aprire la strada a una crescente influenza della Cina sull’Asia nel corso dei prossimi anni. Gli altri Stati membri potrebbero infatti rivolgersi alla seconda più grande economia globale nel tentativo di salvare ciò che resta della Partnership.

I leader dei Paesi coinvolti nella TTP hanno espresso il loro impegno a proseguire nell’iniziativa, prospettando un nuovo accordo regionale commerciale per l’Asia incentrato stavolta intorno alla Cina. Le economie del Sud Est asiatico si stanno già orientando verso la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo sostenuto da Pechino che rappresenta un passo in avanti verso l’integrazione commerciale in Asia.

La posizione degli Stati Uniti sulla TTP è considerata da alcuni come un regalo alla Cina. Ma ci sono altre considerazioni che saranno fondamentali per sancire il successo economico cinese, inclusi gli ulteriori annunci di Trump in materia di politiche commerciali che potrebbero spingere Pechino a porsi sulla difensiva – influenzando così le priorità del governo.

Nel frattempo, il Presidente cinese Xi Jinping deve portare avanti la propria agenda politica in vista delle modifiche ala leadership del Partito più avanti nell’anno. Per riuscirci, dovrà necessariamente mantenere la stabilità economica del Paese.

Una bolla del credito per la Cina? La Cina entra nel Nuovo Anno con un pesante debito sulle spalle. Le autorità hanno attuato un piano di intensi stimoli fiscali per frenare la crescente deflazione. Il 2016 è stato secondo solo al 2009 in termini di aumento del debito pubblico cinese.

Nell’ultimo anno la crescita economica cinese si è dapprima stabilizzata per poi accelerare, e le autorità sono riuscite a conseguire il target ufficiale del +6,5%. In questo inizio 2017 le autorità hanno già iniziato a ridurre la portata degli stimoli, e l’effetto di questi ultimi sull’economia potrebbe gradualmente dissiparsi. Il governo è ben consapevole dei rischi legati all’aumento del debito. Nell’aprile del 2016, un anonimo rappresentante governativo di alto livello (forse lo stesso Presidente Xi Jinping o uno dei suoi più vicini alleati) ha annunciato che un modello di crescita fondato sul credito non può durare. Eppure ancora adesso tale modello persiste, tanto che, se si considerano alcuni indici tecnici, si può dire che la bolla creditizia cinese abbia ormai superato per dimensioni quelle del Giappone, dell’Irlanda, della Spagna e degli Stati Uniti.

Anche se le autorità esprimono una preferenza per le riforme strutturali e cercano di allontanarsi da un aumento della domanda basato sull’indebitamento, il governo resta vincolato alla necessità di creare posti di lavoro. Nel terzo trimestre dell’anno si terrà la 19esima Conferenza del Partito Nazionale, pertanto questa esigenza sarà avvertita in maniera ancora più urgente. La stabilizzazione dell’economia resta all’ordine del giorno per il 2017: sarà sufficiente un lieve rallentamento della crescita per spingere le autorità a riaprire i rubinetti degli stimoli fiscali. Ma quanto a lungo potranno durare? Le autorità sembrano ormai aver esaurito gli assi nella manica e i segnali di stress sul sistema finanziario cinese sono già evidenti.

Stabilità senza riforme? Le sfide per la Cina nell’anno del Congresso del Partito Comunista Il Nuovo Anno cinese inizia sulla scia positiva degli stimoli fiscali adottati nel 2016. Crediamo che la crescita del PIL rimarrà sostenuta nei primi due trimestri del 2017. Persiste, però, il dilemma delle politiche monetarie: l’obiettivo di conseguire una crescita ambiziosa, mantenendo i tassi a livelli bassi, senza rinunciare al controllo sui tassi di cambio. Difficilmente le autorità apporteranno cambiamenti alle politiche o attueranno riforme strutturali prima del Congresso del Partito Comunista nel novembre di quest’anno: c’è poca tolleranza per la volatilità macroeconomica o politica in vista del più grande rimpasto politico interno degli ultimi anni – soprattutto mentre il Presidente Xi Jinping è impegnato nel consolidare il proprio potere e gli obiettivi geo-strategici della Cina si fanno sempre più ambiziosi.

Crediamo che le autorità cinesi abbiano le riserve valutarie e gli strumenti amministrativi e politici necessari per mantenere la stabilità a livello macro nell’immediato futuro. Pertanto lo scenario potrebbe essere positivo per le performance del credito denominato in dollari statunitensi. Tuttavia, man mano che le riserve di valuta estera diminuiscono e la leva finanziaria domestica continua ad aumentare, il renminbi si troverà sempre più sotto pressione. Il principale rischio politico in un outlook altrimenti stabile deriva dall’ascesa delle politiche commerciali protezionistiche attuate dall’Amministrazione Trump, e rivolte specialmente alla Cina.

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