Il populismo preoccupa gli investitori

A cura di Huw Van Steenis, Global Head of Strategy, Schroders

L’umore al World Economic Forum di Davos non era così contrastato da diversi anni. Alcuni partecipanti americani erano notevolmente positivi sull’accelerazione della crescita economica e sul cambio di regime in materia fiscale, regolamentare e commerciale. Altri, specialmente europei, erano invece più pessimisti. Ma per tutti, il dibattito era dominato dalle grandi sfide politiche ed economiche derivanti dal populismo, dalla globalizzazione, dalle tecnologie potenzialmente rivoluzionarie, dalle crisi migratorie e dall’ineguaglianza.

L’impatto del populismo è la preoccupazione numero uno. Le modalità con cui si manifesterà il populismo negli anni a venire probabilmente costituiranno uno dei principali driver dei mercati. Mi ha stupito la mancanza di consensus sulle cause della politica della rabbia, così come sulle conseguenze. La stagnazione dei redditi reali e le sfide multiple per l’economia e l’identità nazionale sono complicate da risolvere. Mi ha colpito che la più forte difesa della globalizzazione, che ha tolto milioni di persone dalla povertà, sia arrivata dal presidente cinese Xi.

Ma cosa vuol dire tutto questo per gli investimenti?

Innanzitutto, ritengo che investire nei Mercati Occidentali stia diventando sempre più simile a investire nei Mercati Emergenti, dove conta la scrupolosa conoscenza e comprensione del rischio paese e della politica economica locale. Inoltre i Mercati Emergenti ci insegnano che spesso il populismo ha effetti inflazionistici.

Secondo, nell’investire dobbiamo affrontare un’incertezza sempre più elevata. La preoccupazione maggiore tra i partecipanti al forum era quella che gli scambi commerciali siano condizionati da un atteggiamento di tipo “tit-for-tat”, in cui gli operatori seguano logiche di “ad ogni azione corrisponde una uguale reazione”. Comprensibile quindi che ci siano opinioni contrastanti sulla capacità del Regno Unito di stringere, dopo la Brexit, legami commerciali che siano più solidi di quelli attuali.

Ma non si riduce tutto alle politiche commerciali: i benefici della globalizzazione sui mercati finanziari continuano a essere sotto esame. Credo che la cosiddetta “balcanizzazione” dei mercati bancari aumenterà, dato che i Paesi stanno costruendo dei muri finanziari. Un sistema bancario maggiormente organizzato per comparti potrebbe contribuire a isolare gli shock, ma probabilmente avrebbe effetti negativi per la crescita, a meno che non siano i mercati a colmare il gap. La crisi bancaria ci ha insegnato che l’Europa ha un disperato bisogno di fonti di finanziamento più diversificate per le aziende e infrastrutture. Purtroppo però è chiaro che la Capital Markets Union, il piano della Commissione Europea per mobilitare e incanalare i capitali, rimarrà in pausa fino a quando il nodo sulla Brexit non verrà sciolto.

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