L’outlook di Invesco per il 2017

A cura di John Greenwood, Chief Economist di Invesco

Stati Uniti d’America.

Sotto la presidenza di Donald Trump ci attendiamo un’importante accelerazione del PIL, ma a mio avviso possiamo aspettarci un rialzo intorno al solo 2,4 % nel 2017 e al 2,6 % nel 2018, non al 3,5-4,0 % promesso da Trump.
Gran parte della crescita del 2017 non deriverà da stimoli fiscali, tagli degli imposte o spese in infrastrutture, ma dal rafforzamento della ripresa del ciclo economico che il Presidente Trump ha ereditato.
L’inflazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense potrebbe registrare un leggero incremento, ma non risentirà in misura significativa del deficit fiscale. Salvo in caso di accelerazione della crescita degli investimenti e del credito, l’inflazione rimarrà sostanzialmente invariata intorno al 2 %. A ottobre, la spesa per consumi personali (PCE) di prima necessità è stata dell’1,7 %, con un indice dei prezzi al consumo del 2,2 % su base annua.
Dopo il rialzo dello 0,25 % del tasso dei Fondi statuitensi emessi dalla Federal Reserve a dicembre, prevediamo ulteriori aumenti, che porteranno l’obiettivo del tasso all’1,00 – 1,25 % entro la fine del 2017.

Eurozona

Nell’area euro, le prospettive rimangono deboli per il medio termine e ben lungi dal diventare robuste nel lungo termine. La manchevole strategia di quantitative easing (QE) della Banca Centrale Europea a sostegno dell’economia, di recente estesa a dicembre 2017, a un ritmo ridotto di 60 miliardi di euro a partire da aprile 2017, continua a non sembrare efficace.
Le tesi a favore di un allentamento fiscale in Europa stanno diventando consuetudine, ma le norme della Commissione Europea (CE) non lasciano molti spazi a un cambiamento, ancor meno a un’espansione fiscale sostenuta da un’accelerazione monetaria.
Il risultato del referendum italiano dimostra che le pressioni politiche per apportare modifiche fondamentali all’Unione Europea (UE) stanno guadagnando terreno.
Il PIL reale della zona euro scenderà intorno all’1,2 % nel 2017, mentre l’inflazione continuerà a restare ampiamente al di sotto dell’obiettivo di “livelli inferiori ma prossimi al 2 %”.

Giappone

Il programma a triplice obiettivo del Primo Ministro Abe non è riuscito a rinvigorire la crescita, mentre il programma di quantitative e qualitative easing (QQE) della Bank of Japan a sostegno dell’economia, non ha fatto aumentare il sottostante tasso di crescita della massa monetaria (M2).
Prevediamo che il tasso di crescita economica giapponese rimarrà intorno all’1 % e che l’economia continuerà a muoversi sull’orlo della deflazione.

Cina e Mercati Emergenti

Le economie emergenti evidenziano a loro volta una divergenza tra quelle produttrici di materie prime e le manifatturiere: le prime soffrono a causa delle deboli ragioni di scambio, mentre le seconde sono ancora in attesa di una ripresa a tutti gli effetti nelle economie sviluppate, che rappresentano i principali acquirenti dei loro prodotti.
Negli ultimi otto anni, varie economie dei mercati emergenti hanno aumentato in misura significativa i loro livelli di debito, determinando la necessità di risanamento del debito interno o estero, con un rallentamento del processo di ripresa.
La situazione cinese è particolarmente enigmatica. Da una parte, le autorità hanno consentito una crescita molto rapida del credito destinato ai settori governativo e finanziario, ma dall’altra l’eccesso di capacità in industrie di base come la siderurgia e il carbone e l’incremento dei crediti deteriorati nei settori statali stanno limitando la crescita di nuovi investimenti.
In Cina si è creata una serie di mini-bolle sul fronte delle azioni (nel 2014 -15), nel mercato obbligazionario, in alcune parti del mercato immobiliare e, più di recente, in vari mercati delle materie prime (p.es. farina di soia, carbon coke, ottenuto dalla raffinazione di petrolio e litantrace, minerale di ferro e acciaio).
Sul fronte esterno, la Cina è alle prese con i deflussi di capitali che ora superano il surplus delle partite correnti. Il deficit complessivo della bilancia dei pagamenti ha costretto le autorità cinesi a consentire un certo grado di deprezzamento dello yuan, in combinazione con l’intervento sul mercato dei cambi (con un conseguente calo delle riserve valutarie) e l’applicazione di controlli più rigorosi sui deflussi di capitali
Nonostante queste battute d’arresto a breve – medio termine del processo di ripresa, siamo da tempo convinti che l’attuale espansione del ciclo economico globale sia duratura. La ragione principale è che la crescita inferiore alla media e la bassa inflazione annullano l’esigenza di attuare il genere di politiche restrittive destinate a porre anticipatamente fine alla fase espansiva.
È improbabile che le recessioni o la debole crescita nelle economie dei ME possa fare deragliare la modesta ripresa delle economie sviluppate. Sebbene alcune società o settori non possano sfuggire ai problemi dei ME, le forze fondamentali chiave – come la politica monetaria e il risanamento dei bilanci – continuano a essere trasmesse principalmente dai mercati sviluppati aglie emergenti, non viceversa.
Inoltre, la ripresa negli Stati Uniti, seppure in atto già da sette anni e mezzo, comincia soltanto ora ad acquisire le caratteristiche tipiche di una normale ripresa: le banche – e non la Fed – concedono finanziamenti, imprese e famiglie sono in una buona situazione finanziaria e possono riprendere la normale dinamica di spesa.

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