L’Asia e il protezionismo USA, non tutto il male vien per nuocere

A cura di Christopher Chu, Fund Manager – Asian equities di Ubp

La decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di ritirare gli USA dalla Trans Pacific Partnership (TPP) è stata una formalità, considerato che molto difficilmente il Congresso avrebbe ratificato il patto durante gli ultimi mesi di Obama. La sua disapprovazione per il TPP era stata evidente per tutta la campagna elettorale, suggerendo che il passo indietro degli USA non era solo stato molto pubblicizzato ma anche pienamente prezzato dal mercato.

La situazione diventa tristemente ironica se si considera che il patto che Trump era così ansioso di rifiutare avrebbe in realtà risolto molti dei problemi a cui lui stesso durante la campagna elettorale aveva promesso di trovare una soluzione, come l’espansione dei mercati di sbocco per i beni americani e la promozione di standard commerciali internazionali. La sua amministrazione sta ora cercando di promuovere numerose proposte che fanno poco per stimolare l’export ma invece danneggiano i consumatori americani riducendo il reddito reale attraverso perdita di efficienza. I dazi doganali proposti puntano a ridurre il deficit commerciale o imponendo delle tariffe sui paesi che sono ritenuti manipolatori di valute o rimuovendo le franchigie sulle importazioni per sussidiare l’export. Chi le propone dice che queste politiche ridurranno il deficit commerciale nazionale e miglioreranno la competitività delle esportazioni, mentre un dollaro più forte bilancerebbe le tariffe poste sulle importazioni.

Nel breve termine, queste circostanze potrebbero portare a un duplice beneficio per gli esportatori asiatici  a spese della manifattura americana. Dal lato del valore, la maggior parte degli scambi commerciali sono negoziati in dollari, il che annullerebbe ogni risparmio nel tasso di cambio derivato da un dollaro forte. Per le aziende asiatiche che esportano in valuta locale (non in dollari), l’apprezzamento della moneta americana si riflette in vendite maggiori. Il lato negativo per gli esportatori esteri deriverebbe da eventuali cali significativi nei volumi. Se da un lato questo diminuirebbe il deficit commerciale degli Stati Uniti, la crescita più debole delle importazioni suggerirebbe un indebolimento dell’economia americana che Trump cerca di evitare. Se i volumi rimarranno invariati, le tariffe saranno assorbite dai produttori o scaricate sui consumatori.

Dal lato dei volumi, la sostituzione delle importazioni non sarebbe possibile immediatamente. Secondo il US Census Bureau, infatti, l’Asia conta circa per il 50% del deficit commerciale americano. Inoltre, secondo le stime dell’Ocse, le esportazioni americane contengono mediamente il 20% di prodotti di provenienza straniera e quindi i produttori statunitensi dovrebbero espandere le proprie capacità di produzione e questo di tradurrebbe in una perdita di valore pari al 10%. Mentre i sussidi e le agevolazioni fiscali compensano i costi finanziari, alla maggior parte delle industrie mancano le materie prime sufficienti per raggiungere i target fissati dall’amministrazione Trump per la generazione di crescita immediata.

Il ritiro degli Stati Uniti dal TPP potrebbe anche fare da catalizzatore per la maggior parte dell’Asia, nel breve termine. Sebbene solo cinque paesi asiatici fossero fra i firmatari originali del TPP (Giappone, Singapore, Brunei, Malesia e Vietnam), tanti altri hanno manifestato interesse ad aderire (Corea del Sud, Taiwan, Tailandia, Indonesia e le Filippine). Tuttavia, molti hanno mostrato riluttanza poiché il patto avrebbe aperto la competizione fra le piccole e medie imprese locali e le società straniere. Considerato la possibilità che gli Stati Uniti o anche la Cina possano unirsi più avanti, il ritardo offre l’opportunità per gli investimenti e la spesa per infrastrutture di migliorare l’efficienza della produzione. Anche se la Cina decidesse di procedere con il proprio trattato commerciale, il RECEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), questo indirettamente ridurrebbe il ruolo delle società pubbliche per migliorare i profitti e questo era uno degli obiettivi del TPP.

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