Italiani cauti negli investimenti: mattone e conto deposito restano le soluzioni preferite

Il 2017 si apre all’insegna della prudenza per gli italiani, che dimostrano di preferire i conti di deposito e la proprietà immobiliare quando si tratta di scegliere come allocare i propri risparmi, asset class a cui attribuiscono un grado di rischio moderato. E’ quanto emerge dall’ultima Indagine Internazionale sul Risparmio realizzata dal dipartimento di Consumer Economics ING di Londra su di un campione di 15 mila consumatori nei 13 Paesi europei in cui ING è presente (Turchia inclusa), oltre a Stati Uniti e Australia.
1. Finanza personale: dove investono gli italiani
Ben il 60% degli italiani intervistati, ha dicharato di avere denaro investito in conti di deposito, mentre il 30% ha affermato di possedere immobili diversi dalla prima casa; seguono i metalli preziosi – come oro e argento – citati dal 25% del campione, quote di fondi comuni e obbligazioni, citati dal 20% degli intervistati. Le azioni risultano invece essere presenti nei portafogli del 15% degli italiani, dato in linea con la media europea: il comparto azionario è infatti percepito come rischioso dalla maggioranza degli intervistati in tutti i Paesi considerati, se comparato con le altre forme di investimento diffuse. Restano ancora poco diffusi i cosiddetti investimenti alternativi: solo il 5% degli intervistati ha affermato di aver investito in queste asset class, mentre il 40% dichiara di non aver mai nemmeno considerato questi strumenti e il 20% ritiene che i rendimenti offerti siano troppo incerti.
Dall’indagine emerge anche come la fase prolungata di tassi prossimi allo 0 influisca negativamente sulla soddisfazione rispetto al risultato dei propri investimenti, suscitando anche preoccupazione rispetto ai risparmi pensionistici e alla possibilità di raggiungere gli obiettivi di investimento prefissati citati da un quarto del campione nazionale.
2. I fattori che determinano la scelta della banca
Alla luce delle recenti viende che hanno scosso il sistema bancario italiano nell’ultimo anno, è stato inoltre chiesto al campione quali siano i principali fattori che più influenzano la scelta della banca a cui affidare i propri risparmi; il risultato mostra come affidabilità e solidità, citati dal 73% e dal 70% dei rispondenti, siano molto più determinanti rispetto ai costi e ai tassi di interesse offerti, citati dal 48% e dal 38% del campione. Importante anche la possibilità di accesso ai servizi digitali, menzionato dal 27% degli intervistati.
Agli italiani è stato anche chiesto come le crisi bancarie li abbiano spinti – o meno – a ricercare maggiori informazioni sulla patrimonializzazione della propria banca: mentre il 33% degli italiani ha dichiarato di non essersi proccupato di questo, la maggiornaza ha invece affermato di aver ricercato maggiori informazioni attraverso i media (28%), attraverso referenti all’interno della propria banca (17%) e rivolgendosi ad altri soggetti, come, ad esempio, la Banca d’Italia (16%).
Nonostante il crescente interesse per la solidità patrimoniale della banca a cui ci si affida, gli italiani continuano a mostrare scarsa dimestichezza con i principali termini della finanza; ad esempio, alla domanda circa la conoscenza di cosa sia il CET 1 ratio, solo il 10% degli intervistati ha affermato di sapere esattamente di cosa si tratti, mentre il 70% ha dichiarato di non sapere affatto di cosa si tratti e il restante 18% di avere solo una vaga idea. Il rapporto con la banca per gli italiani si conferma tuttavia una relazione di lungo periodo: ben l’85% resta con la stessa banca da almeno 3 anni e il 78% afferma di non avere intenzione di cambiare istituto nel corso dei prossimi 12 mesi.
3. Soddisfazione dei risparmiatori rispetto ai propri risparmi e alla sostenibilità dei propri debiti
A fronte di un atteggiamento prevalentemente orientato alla cautela negli investimenti, gli italiani mostrano tuttavia maggiore serenità rispetto all’ammontare dei propri risparmi e rispetto alla capacità di far fronte ai debiti in essere. L’ultima rilevazione dell’indagine ha infatti registrato un incremento del 7% (contro una crescita media europea del 6%) di intervistati che si dichiarano soddisfatti o molto soddisfatti rispetto al livello dei propri risparmi, attestandosi al 24% rispetto al 17% dello scorso anno. Dato che resta tuttavia inferiore alla media europea che vede il 32% dei rispondenti a proprio agio coi risparmi posseduti.
Migliora anche il comfort rispetto all’ammontare di debito personale, dimensione che esclude i mutui immobiliari, con il 35% degli intervistati che si dichiara a proprio agio rispetto alla situazione debitoria, dato in crescita dell’8% rispetto all’ultima rilevazione, e nettamente superiore rispetto al valore medio europeo pari al 27%, in crescita di 6 punti percentuali.
Sui risultati Italia commenta Paolo Pizzoli, Senior Economist ING Bank Italia: “ I risultati dell’indagine appaiono coerenti con l’evoluzione del quadro macroeconomico di fondo. L’economia italiana sta registrando una timida ripresa, nella quale il miglioramento del quadro occupazionale ha indotto un’inversione di rotta del reddito disponibile delle famiglie. Il fatto che una quota crescente dei nuovi occupati abbia contratti a tempo indeterminato sta verosimilmente avendo una ricaduta positiva sul senso di sicurezza circa la sostenibilità della propria posizione reddituale. Non sorprende quindi che le famiglie siano più a proprio agio con il livello di risparmi e si sentano meglio attrezzate per fare fronte alle posizioni debitorie rispetto a un anno fa.
D’altra parte, la fase prolungata di tassi di interesse ai minimi storici continua ad essere fonte di incertezza. Dall’indagine emerge che le famiglie italiane stiano percependo in maniera molto più netta l’impatto dei bassi tassi sulla redditività dei loro risparmi di quello, favorevole, sui loro debiti. Da sottolineare che alla frustrazione data dalla difficoltà di raggiungere gli obiettivi di risparmio, evidente in un’ottica di breve periodo, si associ la preoccupazione circa i propri risparmi pensionistici. Forse la fase prolungata di tassi bassi non viene più vissuta come un fenomeno episodico.”

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