Outlook 2017: per Legg Mason c’è aria di cambiamento

Di S. Smith e D. Hoffman, Managing Directors e PM di Brandywine Global (affiliata Legg Mason)

Solo il tempo ce lo confermerà, ma la nostra impressione è che il terzo trimestre dello scorso anno sia stato il punto minimo della lunga fase di rendimenti “a zero” dei bond governativi dei paesi sviluppati.

Nel sell-off innescatosi nell’ultimo trimestre del 2016 non c’è soltanto l’ottimismo per l’agenda reflattiva del nuovo Presidente Trump, ma anche una variazione a livello di alcuni trend secolari:

  • La fine della fase di compressione del debito e dei consumi dei cittadini americani grazie ad una ripresa dei redditi domestici – anziché ad un finanziamento da parte della Cina come era pre-crisi del 2008;
  • Il cambio di rotta delle politiche economiche, con Cina e USA intenzionate ad attuare interventi fiscali espansivi che sembrano togliere dalle banche centrali il peso di sostenere, da sole, la crescita globale – come è stato invece negli ultimi 8 anni.
  • Una produttività che non sembra essere più così debole, se misurata in base al livello dei salari offerti dalle aziende in un’economia in piena occupazione – come si può dire sia ora quella statunitense. Con una crescita reale dei salari tra l’1.5% e il 2%, la crescita del PIL nominale negli USA toccherebbe infatti per la prima volta da sette anni quota 4.5-5%.
  • L’ondata dei populismi, reazionari allo stallo della crescita post-2008 ed alle politiche percepite come accentuative della disuguaglianza economica e sociale sta segnando la parola fine alla globalizzazione ed ha riportato a galla un protezionismo che andrà con tutta la probabilità a cambiare gli equilibri di forza a livello globale.

Questi segnali sono stati colti positivamente dai mercati ed interpretati prontamente attraverso una riduzione sensibile della duration ed un rally del dollaro statunitense.

A fronte di ciò, per formulare le nostre tesi di investimento abbiamo ritenuto importante porci le seguenti domande: quanto intensamente questa prima “aria di cambiamento” è stata già incorporata dalle valutazioni attuali del mercato e dove risiedono le anomalie? Come rapportare l’outlook della crescita globale ai prezzi? Quali fattori potrebbero ostacolare il cambiamento? Come reagiranno le altre economie globali alle iniziative di Trump e quali rischi risiedono nella rinegoziazione degli accordi commerciali tra Cina e USA?

Con un mercato tanto “eccitato” dalle prospettive di una ripresa economica più vivace, riteniamo opportuno tenere i piedi per terra, dal momento che alcuni aspetti ci rendono difficile pensare che l’economia globale sia prossima a una forte accelerazione. Tra questi, le difficoltà che potrebbero emergere nell’implementazione delle iniziative di Trump, gli interrogativi sulla crescita cinese, a fronte di iniziative in parte espansive della autorità centrali, in parte meno – fra queste ultime citiamo ad esempio gli interventi a contrasto del deprezzamento della valuta. Il rialzo dei rendimenti e quindi del costo dei mutui, negli USA, potrebbe scoraggiare la domanda di nuove abitazioni ed un dollaro statunitense forte non supporta le esportazioni. Analoghe perplessità interessano l’Europa, dove alcuni indicatori di riferimento segnalano un possibile esaurimento prematuro della recente ripresa della crescita.

Allo stesso tempo è importante riconoscere che se la nuova amministrazione americana riuscirà a mantenere investitori e consumatori in questo mood positivo, gli effetti del cocktail formato da una rinnovata propensione di consumatori e imprese a spendere e prendere a prestito, congiuntamente al volume gigantesco di riserve di liquidità accumulate in questi anni dalle banche commerciali, potrebbero risultare in una spirale di crescita esponenzialmente positiva, rispetto alle attese.

Un’altra variabile da osservare con attenzione è quella rappresentata dal rafforzamento del dollaro americano, divenuto al momento caro sia rispetto all’Euro che allo Yen. Con riferimento all’Euro, i segnali di una ripresa della crescita e delle attività commerciali, insieme al lento risolversi degli stress bancari ed alle prospettive di un ridimensionamento delle politiche espansive della BCE più in là nel corso dell’anno sono tutti fattori che si pongono a favore della valuta. Sulla stabilità dell’Euro grava però il peso dell’esito delle elezioni che coinvolgeranno quest’anno alcuni paesi dell’Eurozona – Francia in primis – con la possibilità di un acuirsi delle spinte isolazioniste.

In Giappone, le politiche di Abe stanno iniziando finalmente a dare risultati positivi, come testimoniato dai dati di produzione e vendita al dettaglio, dagli indici PMI e da un miglioramento della bilancia commerciale sostenuto soprattutto da una forte svalutazione dello Yen, che sta infatti tornando a rappresentare una possibile opportunità, alle valutazioni attuali.
Dal momento che un dollaro forte si pone tuttavia in contrasto con le politiche di rilancio delle attività manifatturiere promosse da Trump, ci aspettiamo che presto o tardi la nuova amministrazione possa esercitare pressioni al fine di svalutare il biglietto verde.

Di contro le valute di molti mercati emergenti prezzano su livelli veramente convenienti rispetto al loro valore intrinseco, in un momento in cui le loro bilance dei pagamenti hanno raggiunto equilibri più sani, anche grazie all’aumento dei prezzi delle commodities di cui molti di questi paesi sono esportatori. Nonostante le restrizioni al commercio e le tasse sulle importazioni prefigurate da Trump rappresentino una potenziale minaccia, i fattori citati prima, insieme al fatto che riteniamo improbabile che Trump voglia spingersi tanto in là da provocare un cambiamento sostanziale delle dinamiche commerciali globali, ci rendono positivi su alcune valute dei mercati emergenti.

All’interno di questo scenario macro in continua evoluzione, non vediamo particolare valore nei bond governativi dei paesi sviluppati, ma il nostro posizionamento è lungo su US Treasury, nella convinzione che l’ottimismo incorporato dal mercato sulla ripresa dell’economia americana sia eccessivo.

A livello di valute, all’Euro preferiamo un’esposizione su Scandinavia, Est Europa e Regno Unito, per ragioni legate alle prospettive di crescita e fiscali. In qualità di investitori con un approccio “value”, non possiamo che citare il Messico come un’opportunità in questo momento, dal momento che l’ultima volta che il peso aveva raggiunto i livelli attuali è stato nel 1994 durante la cosiddetta “Tequila crisis” e da allora l’economia messicana ha fatto passi da gigante. Sulla valuta grava certamente la scure del muro e della revisione del NAFTA promosse da Trump, ma, a proposito, non siamo così certi che Trump intenda spingersi tanto in là da indebolire ed infiammare populismi in un’economia così vicina agli USA.

Un miglioramento della crescita globale e prezzi delle materie prime più elevati rappresentano infine a nostro avviso una storia decisamente positiva per bond e valute di paesi quali Indonesia, Sud Africa e Brasile.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!