Corporate governance: imprese familiari non sempre meno efficaci delle public company

In tema di corporate governance le imprese a conduzione familiare si distinguono generalmente per gli ampi scostamenti dalle best practice accettate dai mercati finanziari e riconducibili ai codici di autodisciplina delle principali borse internazionali. Tuttavia, uno studio di CRIF Ratings evidenzia come la governance familiare, ancorché lontana dagli standard di autodisciplina, non sempre è meno efficace nel garantire l’equilibrio tra gli interessi dei diversi stakeholder.

Nei processi di analisi per la valutazione del rating creditizio, a parità di tutti gli altri fattori, l’analisi della corporate governance assume un peso dirimente nell’assegnazione del giudizio. Pertanto, CRIF Ratings ritiene sia opportuno superare un approccio standardizzato e procedere ad una valutazione più contestualizzata dei meccanismi di governo delle imprese ancorate al modello familiare, di particolare rilevanza nel contesto italiano ed europeo in generale. Considerato che il costo del debito è funzione della percezione di rischiosità del credito, superare i luoghi comuni tipicamente associati a questa tipologia di imprese rappresenta il vero valore aggiunto di un’analisi volta a colmare l’asimmetria informativa tra investitore ed impresa emittente, al fine di facilitare l’accesso al mercato dei capitali.

Lo studio di CRIF Ratings ha preso in considerazione, in tre diversi settori, due aziende italiane con controllo maggioritario del capitale e del Consiglio di Amministrazione (‘CdA’) da parte della famiglia di riferimento: Barilla e Lavazza per Alimentare e bevande, Armani e Ferragamo per Abbigliamento e accessori di alta gamma e Angelini e Chiesi per il Farmaceutico. Queste aziende sono state confrontate con imprese estere quotate in borsa con azionariato diffuso (public company) e corporate governance in linea con le best practice internazionali: Nestlé per Alimentare e bevande, Burberry per Abbigliamento e accessori di alta gamma e Novartis per il Farmaceutico. In tutti i casi si tratta di imprese con un fatturato superiore al miliardo di euro.

Ciò che distingue le imprese italiane è una corporate governance dove resta centrale il ruolo di indirizzo strategico della famiglia proprietaria tramite il controllo del CdA, una caratteristica che discende dal possesso della maggioranza assoluta del capitale sociale. Al contrario, le imprese estere evidenziano un CdA composto in prevalenza da membri indipendenti e la proprietà diffusa del capitale con una quota del principale azionista non superiore al 5%, caratteristiche coerenti con lo status di public company.

Non emerge però che l’impronta familiare delle imprese italiane determini una tendenza a favorire gli interessi degli azionisti di maggioranza rispetto a quelli degli altri stakeholder. Tutti i case study, secondo CRIF Ratings, si caratterizzano per una gestione finanziaria nel complesso prudente, seppur con peculiarità derivanti dalla differente scala dimensionale. Nelle imprese italiane si rileva una marginalità operativa non lontana dai concorrenti internazionali ed una posizione di cassa netta o di leva finanziaria inferiore a 1,0x. L’indice di leva è spesso più elevato per le aziende estere, che tuttavia beneficiano della maggiore flessibilità finanziaria derivante da maggiori dimensioni e diversificazione oltre che da un più ampio accesso ai mercati finanziari.

Anche la consistenza dei mezzi propri appare adeguata in tutti i casi di studio. Nelle imprese italiane ciò è supportato da una tendenziale maggiore prudenza nella distribuzione dei dividendi, sempre inferiori al 50% degli utili, a testimonianza di un forte commitment da parte della famiglia di riferimento a mantenere un approccio strategico orientato alla sostenibilità di lungo periodo. Per contro, le public company estere ricorrono in maggior misura alla distribuzione di dividendi per migliorare l’appetibilità dei titoli azionari.

In questo contesto, l’indipendenza dei consiglieri non può costituire il principale driver per valutare la qualità della corporate governance, come invece suggerito dalle best practice dettate per i mercati quotati. Secondo Christian De Rose, Rating Analyst di CRIF Ratings, “In un tessuto produttivo come quello italiano, la garanzia di un equilibrio tra gli interessi degli stakeholder deve essere ricercata anche in altri fattori, cui assegnare un peso altrettanto rilevante in sede di valutazione”.

Un elemento chiave è la separazione tra le funzioni di indirizzo strategico tipicamente in mano alla famiglia (tramite il CdA) e la gestione operativa affidata, tramite un sistema formalizzato di deleghe, a manager esterni di comprovata esperienza e con un solido track record. “Deleghe al management e politiche finanziarie prudenti, ad esempio nell’impiego degli utili, testimoniano una visione a lungo termine e, unitamente a fattori intangibili come l’etica di impresa, risultano determinanti nel rivelare disciplina finanziaria e rispetto degli interessi di tutti gli stakeholder”, continua l’analista.

Secondo CRIF Ratings, alla valutazione dell’approccio dell’impresa verso i suoi portatori d’interesse concorrono ulteriori elementi. Andrebbero considerate anche le politiche di trasparenza informativa su base volontaria, che possono concretizzarsi in reportistica infrannuale, disclosure su corporate governance e politiche di remunerazione, documentazione in tema di Corporate Social Responsibility, o ancora un rating del credito in grado di favorire relazioni più informate con gli stakeholder e stimolare l’attrattività verso gli investitori.

 

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