Mercati Emergenti: è tutta una questione di fondamentali

A cura di Paul McNamara, gestore del fondo Gam Star Emerging Market Rates

La maggioranza dei fondamentali economici dei Mercati Emergenti appare ai livelli più solidi degli ultimi cinque anni. Se consideriamo le esportazioni e l’industria, segnali evidenti di ripresa sono riscontrabili nel miglioramento dei dati PMI, delle vendite di automobili (valore indicativo della domanda dei consumatori) e nel rafforzamento dei volumi commerciali, come ad esempio l’incremento delle esportazioni. L’attività economica sta crescendo in maniera pronunciata, grazie al fatto che non ci troviamo più in un contesto avverso di calo della crescita del credito e perché la regione sta traendo vantaggio dall’aumento della crescita insieme ad una ripresa molto decisa della bilancia dei pagamenti. Nel 2013 erano molte le economie Emergenti che stavano fronteggiando deficit esterni e, nonostante la caduta del prezzo delle commodity a partire da allora tra gli Emergenti (ad eccezione della Cina), oggi stiamo riscontrando lievi surplus.

La ripresa della produzione industriale suggerisce un rafforzamento della crescita del Pil nel corso del quarto trimestre. La crescita negli Emergenti è vista in salita a fronte del rallentamento di quella dei Mercati sviluppati portando così ad un ampliamento del differenziale di crescita. Le valutazioni degli Emergenti sono molto legate al differenziale di crescita con i Mercati Sviluppati e, nel caso in cui la crescita degli Emergenti dovesse aumentare, è probabile attendersi una decisa sovra performance da parte degli asset degli Emergenti, soprattutto il debito denominato in valuta locale e i mercati azionari.

Tuttavia, è la situazione politica negli Stati Uniti a mettere sul piatto alcuni fronti di sfida: una curva dei rendimenti statunitensi più alta e significativamente più ripida – tale fattore è un problema più per il debito denominato in dollari che in valuta locale, ma può comunque rappresentare un elemento di destabilizzazione e incrementare il premio al rischio. Una seconda sfida è rappresentata da un potenziale cambiamento nelle politiche commerciali, ad esempio qualcosa che va oltre la lotta agli impianti di produzione in Messico per giungere ad essere un più ampio attacco all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questo potrebbe essere un elemento molto negativo per i Mercati Emergenti, primi beneficiari della globalizzazione.

Stiamo assistendo ad uno slancio al rialzo per l’asset class  e c’è ampio interesse da parte degli investitori per asset rischiosi. Il rischio generico in Europa è forse ingigantito, ma quello relativo al prossimo appuntamento elettorale in Francia e al possibile dissolvimento dell’Eurozona cambierebbe completamente le carte in tavola. Ma qualora questo scenario catastrofico non si dovesse concretizzare, dal nostro punto di vista crediamo che il contesto degli Emergenti potrebbe registrare eccellenti performance nel corso dell’anno.

L’effetto Trump nel corso del 2017 è la vera grande incognita: se dovesse concretizzarsi lo scenario peggiore, la performance potrebbe crollare del 20%, ma se l’agenda di Trump non trovasse applicazione pratica, potremmo assistere ad un rialzo del 25%. E di certo non possiamo enfatizzare eccessivamente la potenziale volatilità. Il nostro scenario base tiene conto dell’intento di Trump di mettere in pratica la maggior parte dei propri obiettivi e questo giustificherebbe la nostra scelta di sottopesare lievemente il Messico, altrimenti in cima alle nostre preferenze. Il Messico è molto più esposto rispetto a qualsiasi altro Paese al rischio Trump, fattore sui cui è molto complesso generalizzare e contro cui trovare un’assicurazione. Nonostante ciò, continuiamo a concentrarci sui solidi fondamentali dei Mercati Emergenti: la crescita è già in aumento e la bilancia dei pagamenti appare solida.

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