Riforma fiscale e politica commerciale sotto Trump

A cura di Axa Im
L’insediamento del Presidente Trump ha fatto riemergere preoccupazioni di natura protezionista. La direzione della politica resta incerta, visti i numerosi messaggi e obiettivi contrastanti emersi nei primi giorni di attività della nuova amministrazione. Siamo consapevoli delle forti incertezze che offuscano le prospettive future, ma in questa fase propendiamo per le seguenti previsioni. Un’analisi di stile Navarro fa da contrappeso a una valutazione economica più ortodossa dei benefici del commercio internazionale e della globalizzazione mediante il vantaggio comparato. Di conseguenza, le politiche commerciali sono in parte responsabili del disavanzo commerciale, della perdita di posti di lavoro e del trasferimento delle aziende.
Da tempo a Washington è in corso un ampio dibattito sulla strategia da adottare per affrontare nel modo migliore questi problemi. Secondo i Repubblicani più ortodossi, una riforma del sistema fiscale potrebbe rappresentare una buona soluzione, poiché ridurrebbe gli incentivi al trasferimento all’estero delle imprese statunitensi. La possibilità di introdurre la tassa di confine potrebbe persino orientare il sistema fiscale a vantaggio della produzione domestica, ma l’attuale  proposta, che prevede l’esclusione dei costi di produzione e del lavoro, sarebbe probabilmente considerata una misura protezionista. Comunque, all’interno della nuova amministrazione ci sono anche i sostenitori di un approccio protezionista più diretto.
In questa fase, due Paesi in particolare sono sotto i riflettori della politica commerciale: Messico e Cina. Avendo già avviato le discussioni relative a una possibile riforma del NAFTA, riteniamo che la maggior parte delle preoccupazioni riguardanti i rapporti commerciali con il Messico confluiranno in prima battuta in tali negoziati. Non ci aspettiamo che vengano imposte politiche restrittive sul Messico mentre sono in corso le negoziazioni.
La Cina sembra un problema più spinoso. Nel tentativo di avviare negoziazioni commerciali, l’amministrazione USA potrebbe accusare formalmente Pechino di manipolazione della valuta. Tuttavia, c’è anche la possibilità di ricorrere ai dazi doganali, materia su cui il Presidente ha ampio raggio d’azione. Siamo convinti che dazi mirati siano più probabili di un approccio generalizzato, anche in ragione del possibile impatto negativo di un aumento dell’inflazione statunitense e degli ostacoli per l’attività economica derivanti da eventuali ritorsioni colpo su colpo della Cina.
Rispetto ai dazi, a nostro parere risultano particolarmente a rischio i settori di computer/prodotti elettronici e componenti elettrici/apparecchiature in virtù degli ampi disavanzi bilaterali e della significativa penetrazione delle importazioni. Questi settori potrebbero inoltre essere considerati aree in grado di trarre vantaggio da una maggiore attività di ricerca e sviluppo, in alcuni casi con implicazioni sulla sicurezza.
Per questa ragione, riteniamo che questi settori sarebbero ad alto rischio se gli Stati Uniti  decidessero di applicare i dazi mirati. L’eventuale introduzione di tali misure comporterebbe, a nostro parere, un rischio elevato di ritorsioni da parte delle autorità cinesi, a cui farebbero  probabilmente seguito ulteriori ritorsioni e un’escalation delle tensioni.
Una vera e propria guerra commerciale andrebbe a incidere non solo sulle economie di Stati Uniti e Cina, ma anche su quelle di tutto il mondo. A nostro parere, i mercati finanziari stanno sottovalutando questi rischi, in parte per la mancanza di informazioni. A livello di tempistiche, tali politiche potrebbero seguire il dibattito sulla riforma fiscale, presumibilmente tra l’estate e la fine dell’anno, a conferma della natura interconnessa di queste politiche. Tuttavia, se questi rischi dovessero concretizzarsi verso fine anno o nel 2018 ne potrebbero risentire pesantemente il mercato e le imprese.

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