Trumponomics: mercati verso una probabile correzione

A cura di Dave Lafferty, Chief Market Strategist di Natixis Global Asset Management
Febbraio è stato un mese in cui gli animi degli investitori si sono riaccesi. A far scattare di nuovo la scintilla sono state le promesse di Trump sugli stimoli fiscali, tra cui quella degli ingenti tagli alle tasse sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche, il piano di investimenti in infrastrutture di oltre 1.000 miliardi di dollari, l’aumento della spesa pubblica per la difesa e l’ampio programma di deregolamentazione.
Promesse che non sono state messe in discussione dall’amministrazione statunitense che non ha fatto nulla per fissare dei limiti. In occasione del suo primo discorso al Congresso del 28 febbraio scorso, Trump ha confermato tutte queste misure, spingendo al rialzo il Dow Jones di oltre 300 punti. Il clima di ottimismo è stato sostenuto anche dal miglioramento dei  principali indicatori economici statunitensi, tra cui l’indice ISM, PMI e altri indicatori manifatturieri locali.
Anche l’indice NFIB che misura il sentiment delle piccole imprese ha registrato una forte impennata. Dopo due anni di calma piatta, per lo S&P sono state elaborate delle stime di crescita pari al 10% per il 2017 e al 12% per il 2018 (dati FactSet). Apparentemente, quindi, oggi ci troviamo in una fase molto positiva e l’aspettativa è quella di andare verso una fase bullish del mercato.
Tuttavia è difficile capire quanto durerà questa euforia, considerati i rialzi registrati dai mercati azionari dal giorno delle elezioni di Trump. E’ infatti logico supporre che le aspettative del mercato siano troppo elevate in questo momento. Anche se l’audacia mostrata dalla nuova amministrazione sul piano fiscale fa da garanzia a una fase rialzista, occorre considerare che Trump sta promettendo di più di quello che Paul Ryan, il Presidente della camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, sia disposto a mettere sul piatto.
Anche se l’ottimismo trova una ragione d’essere nei guadagni messi a segno dalle azioni dal giorno delle elezioni, il mercato in questo momento ha aspettative troppo elevate destinate ad essere disattese. Sotto questo punto di vista, infatti, due sono gli scenari che si possono ipotizzare. Nel primo, gli oppositori alle politiche di spesa, del debito e di deficit di Trump avrebbero una reale possibilità di far cadere le promesse fiscali del Presidente, determinando così un forte ridimensionamento dei mercati. Trump potrebbe anche usare una linea dura, ma nei confronti del Congresso questa potrebbe essere inefficace per due ragioni. Innanzitutto perchè l’introduzione dei tagli alle tasse non sarà possibile fino a quando non sarà stata approvata una legge che abroga e sostituisce l’Obamacare.
Al momento, infatti, non esiste un piano concreto in grado di assicurare agli americani tutta quella serie di benefici che una minore pressione fiscale potrebbe non garantire più. Il rischio che la riforma fiscale si possa impantanare in discussioni molto accese sul destino della sanità pubblica è molto alto. La seconda ragione è rappresentata dal fatto che non vi è alcun tipo di flessibilità nell’ambito delle spese discrezionali del budget statunitense. Trump non sembra interessato ai programmi di spesa sociali e di welfare (Social Security, Medicare, and Medicaid), ma intende aumentare la spesa per la difesa. In un contesto di piena occupazione, neanche le più ottimistiche previsioni in termini di “dynamic scoring” saranno in grado di produrre quella crescita che consenta di dare equilibrio al budget di spesa. Non bisogna dimenticare inoltre che il rialzo dei tassi si tradurrà in un aumento degli oneri legati al debito.
Il secondo scenario ipotizzabile è che Trump, pur avendo il via libera dal Congresso, non riesca a raggiungere i risultati sperati. La formula meno tasse e più spesa pubblica, in un contesto caratterizzato da un tasso di inflazione vicino al 2% e dalla piena occupazione, è destinata a introdurre altre spinte inflazionistiche che indurrebbero la Federal Reserve ad essere pù aggressiva nel rialzo dei tassi, con una conseguente penalizzazione dei mercati e delle aziende. Infatti, quanto maggiore infatti sarà l’impatto delle politiche della Fed sul dollaro, tanto maggiori saranno gli effetti della politica restrittiva sugli utili societari per via della minore competitività delle aziende a della traslazione degli effetti valutari.
Indipendentemente dal tipo di scenario che si configurerà, il mercato sembra comunque destinato ad attraversare una fase delicata. Considerando anche il fatto che in questo momento i prezzi delle azioni americane e gli spread sui corporate bond (in particolare gli high yield) sono particolarmente elevati, appare evidente come sia necessaria una maggiore cautela da parte degli investitori.
Ci aspettiamo pertanto che durante l’anno in corso si verifichi una correzione del mercato che, a differenza di quelle che si verificano normalmente sui mercati, sarà provocata dall’ipotesi di una mancata implementazione degli stimoli di Trump o da una politica monetaria restrittiva più aggressiva. Questo invito alla cautela però non significa essere ribassisti. L’economia statunitense infatti è migliorata nel secondo semestre 2016 e pensiamo che il trend di crescita persista anche nel 2017.
Nel primo trimestre di quest’anno il PIl sembra buono, anche se non eccezionale. La crescita dell’economia in Europa sembra inoltre solida. Dal punto di vista del mercato del credito, ci aspettiamo che il ciclo rimanga positivo, almeno per i prossimi 6-18 mesi, prima della comparsa dei rischi di rifinanziamento e di roll-over nel 2018 e 2019.
Considerando la nostra visione di lungo termine, una forte (e inevitabile) correzione dei mercati azionari nel breve termine consentirebbe di ribilanciare il portafoglio, approfittando di valutazioni più attraenti. Inoltre si assisterebbe a una ridefinizione delle aspettative sulle politiche di Trump più vicine alla realtà.

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