Sale solo il mercato americano

a cura di Lemanik

“La dinamica rialzista dei mercati azionari americani sembra confermare la fase di costruzione della più grande bolla speculativa della storia dagli anni venti in poi. La differenza sostanziale di oggi è però l’assenza di un boom economico che possa giustificare certe valutazioni.” E’ questa l’analisi di Maurizio Novelli, gestore Global strategy fund di Lemanik, che sottolinea come sia sempre e solo il mercato americano a salire, mentre gli altri confermano una costante underperformance. L’esuberanza speculativa in corso è dunque concentrata negli Stati Uniti e nessuno vuole uscire dal mercato.

I portfolio managers più prudenti sono obbligati a partecipare in modo riluttante a questo rialzo, spinti dalla pressione della clientela retail che non vuole perdere l’occasione e cercano quindi di posizionarsi sui mercati che ritengono meno cari per accodarsi al trend, come Europa, Giappone o Em. Tuttavia, anche acquistando i mercati “rimasti indietro”, non si rendono conto che non fanno che acquistare qualcosa che in un certo modo dipende solo dal trend di Wall Street. Se infatti cede il trend speculativo in America, non ci saranno mercati che potranno sottrarsi al ribasso generalizzato.

Nel frattempo il resto del mondo si è fermato e aspetta di vedere cosa accadrà in America: fuori dagli Stati Uniti nessun paese è pronto a fare stimoli significativi tali da spostare più di tanto il ciclo da dove ci troviamo. La Cina ha recentemente dichiarato che la crescita del 6,5% attesa per quest’anno non deve essere perseguita mettendo a rischio la stabilità finanziaria e sono quindi disponibili ad accettare anche una crescita più bassa, mentre l’Europa non avrà l’accelerazione della crescita che i Pmi stanno prevedendo.

Quello che appare evidente e inconfutabile, è che lo stock del debito nel sistema internazionale è al 300% del PIL e quindi non possiamo permetterci di “giocare” con i tassi d’interesse. Per questo motivo non sarà importante per l’economia internazionale quanto stimolo si farà in America, ma piuttosto quanto costerà finanziarlo. Un aumento di un punto dei tassi impone un aumento del costo del debito globale di tre punti di Pil, ma se guardiamo solo al sistema Americano, dove il debito ufficiale è al 357% del Pil ma quello comprensivo dei singoli stati e municipalità è a oltre il 400%, un aumento di un punto del costo di finanziamento annulla all’istante ogni stimolo fiscale. Sarà quindi importante capire come si comporteranno i tassi sui bonds e l’inflazione, alla luce degli stimoli promessi per capire che efficacia avrà sull’economia la spesa pubblica attesa dal reflation trade. Pochi paesi sono oggi veramente in condizione di reggere ad un aumento dei tassi senza subire pesanti ripercussioni finanziarie. La stessa cosa si potrebbe dire anche per alcune aziende quotate ed in particolare per il sistema Americano che negli anni recenti ha spostato il leverage dal real estate al mercato azionario ed al settore corporate. Per crescere devono salire i redditi reali, l’aumento dei redditi reali comporta defiscalizzazione con più debito pubblico e anche più inflazione, più inflazione comporta tassi reali più alti di dove sono ora, tassi reali più alti implicano che il costo maggiore del debito sia inferiore alla crescita economica prodotta dagli stimoli fiscali. Se è vero che gli Stati Uniti hanno il debito che hanno, il costo indotto da tassi più alti sarà sicuramente più elevato della crescita derivante dallo stimolo fiscale e quindi una cosa annullerà l’altra, confermando di fatto uno scenario di stagnazione mondiale nel quale si galleggia da tempo.

L’uscita dai tassi a zero non sarà facile e l’economia sarà esposta a false partenze e ricadute, il ciclo si farà più instabile e così anche i mercati. Oggi siamo esattamente in questa fase, dove le grandi aspettative rischiano di andare deluse, non solo per l’incertezza politica, ma anche per la dinamica del costo che il sistema deve sopportare per il debito creato in passato. Costo che si modifica in modo anticiclico e che non potrà essere gestito dalle banche centrali (che possono gestire solo i tassi a breve termine), perché da qui in poi saranno i mercati a decidere quali rendimenti dovranno pagare i debitori che per fare crescita dovranno fare altro debito. Chi crede nell’efficacia delle politiche reflazionistiche non può ignorare quello che possono costare e quello che possono comportare. Occorre quindi considerare che negli ultimi tre anni tutte le attività finanziarie si sono portate su massimi storici mai visti prima, il tutto accuratamente spinto oltre ogni eccesso dalle politiche monetarie che hanno indotto gli investitori ad acquistare qualsiasi cosa che avesse un rendimento positivo. Tutto è stato sospinto dai tassi a zero e adesso sarà interessante capire cosa potrà accadere se il mercato, non la Fed, deciderà di imporre tassi più alti a tutti.

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