La Fed e la normalizzazione della politica monetaria

a cura di Dave Lafferty, chief market strategist di Natixis Global Asset Management

Un rialzo di 25 punti base è la decisione che i mercati si aspettano dal meeting di oggi del FOMC. La Yellen molto probabilmente ribadirà che le prossime mosse della Federal Reserve dipenderanno dai dati macroeconomici che, dall’ultimo meeting, sono stati positivi, senza però assumere un tono che possa spaventare i mercati. Ci aspettiamo quindi un modesto miglioramento delle stime sull’economia con particolare riferimento al sentiment delle imprese e alla mercato del lavoro che continua a essere forte. Anche se la Fed affermerà che le sue azioni sono volte a contenere l’inflazione (vicina o al di sopra del target del 2%), essa cercherà di placare i timori del mercato facendo notare che le aspettative di inflazione di lungo termine sono stabili (e che quindi alcune misure non saranno più necessarie).

Otto anni di politica monetaria accomodante a livello globale hanno inevitabilmente posticipato il giorno della resa dei conti. Ora la Fed è intenzionata a normalizzare la sua politica monetaria, senza però innescare una recessione e tenendo sotto controllo l’inflazione.

La reazione dei mercati di fronte a questo processo di normalizzazione dipenderà molto dalla percezione di quanto esso sia in linea con la reale crescita economica, tenendo conto che l’andamento del mercato azionario dipende anche dal passaggio dalla politica monetaria alla politica fiscale. Tuttavia negli ultimi tempi le azioni hanno corso troppo, poichè gli investitori sono stati influenzati dalle promesse di Trump, soprattutto quelle relative agli stimoli fiscali. Nel breve termine è possibile però che alcune di queste promesse siano disattese, causando così un’ondata di vendite. L’American Health Care Act di Trump (Trumpcare) è stato accolto con molto scetticismo e potrebbe essere definitivamente bocciato dal Congresso americano. Ciò aumenterebbe la probabilità di un impasse nel partito repubblicano che renderebbe difficile l’implementazione dei tagli fiscali e dell’aumento della spesa pubblica per infrastrutture e difesa.

Il consenso per un dollaro più forte potrebbe vacillare. Sarebbe infatti ingenuo pensare che la valuta americana possa essere ulteriormente spinta dalla divergenza delle politiche monetarie attualmente in atto. Il destino del dollaro dipenderà molto dai cambiamenti marginali delle aspettative sulle mosse della Fed (rispetto ai tre ritocchi dei tassi già prezzati dal mercato) e dai differenziali dei tassi di interesse. Tali aspettative dipenderanno anche dal successo o dal fallimento dei piani fiscali di Trump.

 

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