Cina, da cigno nero ad ancora per la stabilità

A cura di Christopher Chu, Fund Manager Asian equities di Union Bancaire Privée
In meno di un anno, il ruolo della Cina nei mercati azionari globali si è invertito: da potenziale cigno nero ad ancora per la stabilità. All’inizio del 2016 l’ansia per la fuga di capitali e per l’imminente indebolimento della valuta cinese era palpabile dopo che la People’s Bank of China (PBoC) aveva permesso un’unica, forte, svalutazione del Remimbi nell’agosto del 2015.
Le condizioni di ristrettezza in cui versava la liquidità pesarono sul sentiment, portando a un’ondata di vendite all’inizio del 2016 che trascinarono verso il basso le borse di tutto il mondo; la situazione peggiorò ulteriormente quando Pechino mise in atto un intervento per interrompere questo circolo vizioso. La mossa della PBoC per spingere agli acquisti da parte del mercato interno e limitare le vendite fu visto come un inversione del processo di riforme intrapreso da Pechino, e questo scoraggiò gli investitori a considerare positivamente le prospettive economiche del paese.
Nei seguenti dodici mesi, il mercato è stato confortato da dati macroeconomici resilienti e da una banca centrale più comunicativa e interessata a tranquillizzare i mercati, in un contesto in cui la Bce e la Bank of Japan portavano avanti una politica di tassi d’interesse negativi. Sono stati effettuati tagli alla produzione di carbone e acciaio, portando a un aumento dei prezzi delle commodity che si è tradotto, a settembre, in un indice dei prezzi alla produzione positivo per la prima volta dall’inizio del 2012.
Fra tutti i principali indicatori, quello che dà segnali più incoraggianti è proprio l’indice dei prezzi alla produzione in ripresa. Dopo aver toccato il fondo a fine 2015, questo dato è gradualmente migliorato, il che ha significative implicazioni non solo economiche, ma anche politiche, considerando le difficoltà insite nel portare avanti riforme dal lato dell’offerta.  Un indice dei prezzi alla produzione che resta sopra lo zero per un periodo prolungato è positivo per gli utili societari perché abbassa il costo reale del pagamento degli interessi sul debito. Un contesto inflazionario permetterebbe anche alla PBoC di spostarsi da una politica monetaria accomodante verso una neutrale.
Il nostro ottimismo verso il mercato azionario cinese deriva dai dati economici che favoriscono la crescita degli utili e da una politica monetaria appropriata da parte della PBoC a supporto del remimbi. Fra i beneficiari di questo scenario ci sarebbero i titoli del settore finanziario, considerato che vedrebbe mitigate le preoccupazioni rispetto alla qualità degli asset, mentre i finanziari non bancari, come le compagnie assicurative, potrebbero vedere una rivalutazione dei propri asset.
I legislatori hanno anche spinto per una maggiore partecipazione nelle partnership pubblico-private per supportare la crescita, beneficiando le società appaltanti. Le riforme dal lato dell’offerta attualmente in corso di attuazione dovrebbero a loro volta essere positive per le aziende attive nel settore industriale, dove le influenze economiche diventano più dinamiche.
La stabilità in Cina crea anche un effetto a cascata positivo nel resto dell’Asia, in particolare per le economie del sud-est asiatico, dell’India e degli ASEAN. Il coinvolgimento di sedici nazioni nel Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e l’iniziativa One Belt One Road (OBOR) arrivano in un momento in cui l’amministrazione statunitense preferisce rapporti bilaterali per regolare il commercio globale. La stabilità in Cina si fonde a un maggior dinamismo intra-regionale, particolarmente importante in un momento in cui l’instabilità diventa più evidente altrove.

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