Il delicato equilibrio tra l’Oro e la Fed

a cura di Stefano Roperti, Senior Executive manager Exante Investment Team

Gli scambi attuali sull’oro, commodity per eccellenza, risentono ancora del clima di squilibrio e incertezza che governa i mercati dal novembre scorso, giorno dell’elezione di Donald Trump. Il velo di ambiguità che ruota intorno al presidente repubblicano e alle sue promesse da campagna elettorale ha influenzato anche i piani della Fed, che vede ora messa in discussione la propria politica monetaria. In questi giorni la banca centrale degli Stati Uniti come da previsione ha alzato i tassi d’interesse e se tutto andrà secondo i piani assisteremo ad altri due rialzi nel corso del 2017; proprio il rafforzamento del dollaro legato all’aumento dei tassi preoccupa Trump, che non ha bisogno di una moneta sovrana troppo forte, ma anzi necessita di politiche fiscali accomodanti per mettere in atto il suo piano politico, che dovrebbe portare ad un aumento del deficit pubblico.

All’incerto scenario Statunitense si aggiunge anche quello Europeo, dove molti paesi invocano l’uscita dall’Euro.

La quotazione dell’oro, considerato come bene rifugio per eccellenza, è fortemente influenzata dagli umori e dalle insicurezze che agitano gli investitori in questi ultimi tempi. In un contesto come quello attuale infatti, con la Fed che aumenta il costo del denaro (operazione data per scontata dal mercato) trascinando al rialzo il rendimento dei titoli di stato sovrani (ad esempio i Treasury Bond americani), l’acquisto di beni rifugio come l’oro dovrebbe essere considerato meno appetibile, anche perché l’oro non distribuisce dividendi; invece attualmente le quotazioni del metallo nobile si confermano in crescita, oscillando sui livelli attuali di 1.233 dollari l’oncia, con prezzi in costante ascesa dalla fine del 2015, al termine della fase correttiva caratterizzata dal minimo in area 1.050 dollari l’oncia.

I prossimi movimenti saranno direttamente proporzionali all’evoluzione del contesto macroeconomico, in primis legato alle vicende d’oltreoceano; nello specifico sembra lecito ipotizzare due differenti ma altrettanto plausibili scenari:

  • Qualora la Fed riesca ad attuare la sua politica monetaria senza intoppi, aumentando gradualmente e stabilmente i tassi d’interesse, il dollaro si rafforzerebbe, assumendo per gli investitori la valenza di bene rifugio e competendo con l’oro nel suo stesso terreno, erodendone i volumi di acquisto. Le quotazioni del metallo giallo potrebbero scendere fino a toccare i minimi a quota 1.100 dollari all’oncia entro dicembre 2017;
  • Se Trump con la sua politica non dovesse fornire sufficienti rassicurazioni ai mercati, magari obbligando la Fed a cambiare politica in corsa, gli investitori potrebbero essere spaventati dall’idea di investire denaro in titoli liquidi, rifugiandosi nel metallo prezioso. A quel punto, nonostante le manovre della Fed, il prezzo dell’oro salirà comunque fino a raggiungere almeno quota 1.350.

 

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