Gli auriferi tornano a far brillare gli occhi degli investitori

A cura di Joe Foster, Gold Strategist di VanEck Vector ETFs

Decisa reazione dell’oro a fronte di condizioni normalmente avverse A febbraio l’oro ha oltrepassato quota USD 1 200 dando prova di una buona tenuta. La presenza di diversi fattori solitamente ribassisti non è infatti riuscita a indebolirne i prezzi. La testimonianza del presidente della Federal Reserve (Fed) Janet Yellen dinanzi al Congresso a metà febbraio ha segnalato un irrigidimento delle politiche monetarie, e i successivi commenti dei presidenti regionali della banca centrale statunitense hanno rafforzato l’orientamento restrittivo di Yellen a livello federale. Ciò ha ridato credito alla probabilità di un aumento dei tassi da parte della Fed a marzo, con un conseguente netto rafforzamento del dollaro USA e un rialzo dello U.S. Dollar Index (DXY)1 dell’1,9% nel mese. La debolezza della domanda cinese e indiana di oro fisico cui si è assistito nel 2016 è proseguita anche nel nuovo anno, e dalle statistiche relative agli scambi commerciali svizzeri di gennaio è emerso che le esportazioni verso Cina e India sono inferiori ai livelli dello scorso anno. Inoltre, a inizio mese i mercati cinesi hanno osservato una settimana di chiusura per le festività del Capodanno lunare. Per i listini statunitensi, febbraio è stato un mese dall’andamento più che soddisfacente. In particolare, il Dow Jones Industrials Average (DJIA)2 ha fatto segnare un record di dodici giorni consecutivi di nuovi massimi storici al disopra di quota 20 000 a partire dal 9 febbraio. Sebbene non si tratti di eventi generalmente vantaggiosi per l’oro, nel corso del mese i lingotti hanno comunque guadagnato USD 37,68 (3,1%). Di fatto, al termine di febbraio l’oro risultava in rialzo dell’8,3%, con una sovraperformance del 2,5% rispetto al DJIA nei primi due mesi del 2017. A nostro avviso, la buona tenuta dell’oro negli ultimi tempi è attribuibile a tre fattori: (1) l’avvento di una nuova era di incertezza geopolitica dopo il referendum sulla Brexit; (2) i primi afflussi netti di cospicua entità verso fondi indicizzati quotati (ETP) su lingotti d’oro dalle elezioni presidenziali negli USA di novembre; e (3) la flessione dei tassi reali dovuta all’aumento dell’inflazione. I dati relativi allo U.S. Consumer Price Index (CPI)3 e il Producer Price Index (PPI)4 pubblicati a febbraio hanno sorpreso gli analisti con balzi mensili più forti da diversi anni. L’inflazione core CPI annua si attesta ora al 2,3%, collocandosi al limite superiore dei livelli su cui viaggiava dalla crisi finanziaria del 2008- 2009.

Rendicontazione di fine anno deludente, acuita da revisioni al ribasso e incremento della spesa A differenza dei lingotti, a febbraio i titoli auriferi hanno sottoperformato, con un calo del 3,9% del NYSE Arca Gold Miners Index (GDMNTR)5 e del 2,2% del MVIS™ Junior Gold Miners Index (MVGDXJTR)6. In virtù dei precedenti risultati di gennaio, i rendimenti da inizio anno sono tuttavia rimasti sostenuti, rispettivamente nell’ordine del 9,2% e 15,3%. Ormai la maggior parte dei produttori di oro ha pubblicato i risultati di fine anno nonché le stime per il 2017, ma il quadro che ne è emerso non è esattamente roseo. I produttori hanno perlopiù soddisfatto le aspettative, ma alcune sorprese negative hanno penalizzato i rispettivi titoli. Inoltre, alcune società minerarie hanno rivisto al ribasso il giudizio sulla qualità delle proprie riserve o ridimensionato le loro previsioni di produzione, mentre altre hanno raccolto capitale. Alla luce del rincaro dell’oro, l’entità della spesa è in aumento. Secondo le previsioni stilate da Bank of America Merrill Lynch, nel 2017 le società nordamericane senior e quelle del segmento intermedio aumenteranno del 51% la spesa totale per attività di esplorazione e del 32% il capitale destinato a nuovi progetti. Benché tali provvedimenti possano comportare una riduzione dei flussi di cassa per l’anno in corso, in futuro dovrebbero però essere ricompensati da una serie di scoperte di oro e di sviluppi.

Movimento dei prezzi dei titoli auriferi non trainato dai fondamentali I dati pubblicati dipingono uno scenario a tinte fosche per la stagione degli utili del quarto trimestre, ma non spiegano come mai i titoli legati all’oro abbiano accusato una pesante sottoperformance rispetto ai lingotti. La debolezza dei titoli auriferi è stata amplificata dall’andamento insolito delle negoziazioni nel pomeriggio del 27 febbraio scorso. In questa data, l’oro ha evidenziato una tendenza al ribasso a cominciare dalle ore 12.00 circa, quando Robert Kaplan, presidente della Federal Reserve di Dallas, si è pronunciato a favore di un aumento dei tassi, alimentando così la forza del dollaro USA. L’oro ha chiuso la giornata con una perdita di USD 4,38 (0,3%), mostrando quindi una normale reazione alla notizia in termini fondamentali. Lo stesso pomeriggio i titoli auriferi hanno invece reagito come se l’oro avesse perso USD 30, e i volumi delle contrattazioni hanno toccato il massimo storico giornaliero. Dall’andamento fuori dal consueto delle contrattazioni e dalla mancanza di motori fondamentali si evince che i fondi trainati da fattori tecnici hanno ricevuto segnali di vendita, che a loro volta hanno indotto a ulteriori vendite stop-loss. Sebbene non sia dato sapere cosa abbia innescato tali segnali di vendita, resta comunque il fatto che le valutazioni dei titoli azionari, che erano già interessanti, siano diventate a buon mercato. Un mercato che le società minerarie cercheranno di tramutare in oro.

Oro alla ricerca di un motore dei prezzi (diverso dall’inflazione) per il 2017 A 2017 ormai inoltrato, l’oro manca ancora di un catalizzatore che possa imprimere un forte slancio ai prezzi. Pur giudicando probabile l’intervento di un fattore di traino, è impossibile prevederne la natura e le tempistiche. Siamo dell’avviso che nei prossimi mesi o anni dovrebbe verificarsi un evento geopolitico, economico o finanziario tale da indurre gli investitori a ricercare investimenti percepiti come «porto sicuro». Alla luce delle politiche monetarie accomodanti su scala globale, delle recenti aspettative di crescita e del possibile protezionismo a livello di scambi commerciali, comprendiamo le ragioni di chi ritiene che per l’oro il prossimo catalizzatore sarà rappresentato dall’inflazione. Peraltro, l’oro ha sempre reagito vigorosamente quando l’inflazione appariva fuori controllo. Anche se non escludiamo di poterci sbagliare in proposito, non crediamo però che l’inflazione presenti ancora un cospicuo potenziale di rialzo. L’aumento dell’inflazione negli ultimi dodici mesi è in gran parte ascrivibile alla ripresa dei prezzi delle materie prime dai precedenti livelli di forte ipervenduto. A nostro parere, il rimbalzo delle commodity non dovrebbe sospingere ulteriormente l’inflazione nel breve termine. Il popolare tema della reflazione si basa su una crescita e una spesa pubblica che potrebbero essere inferiori alle attese in un contesto in cui il presidente statunitense Donald Trump potrebbe avere qualche difficoltà a ottenere l’approvazione del suo programma dal Congresso. Per finire, la Fed sembra in procinto di inasprire le politiche per un periodo prolungato, il che finirebbe per contrastare l’inflazione. Finché non si sarà palesata l’inflazione o un altro motore dei prezzi, riteniamo che quest’anno le quotazioni dell’oro, pur continuando a esibire un andamento altalenante, resteranno ben sostenute.

Ruolo essenziale delle nuove società aurifere per la crescita futura In sintesi, una delle modalità più immediate per creare valore per gli azionisti nel settore aurifero consiste nello scoprire proprietà fondiarie in angoli remoti del globo che possano essere trasformate in miniere d’oro. In occasione della BMO Conference ha attratto notevole attenzione una nuova schiera di produttori emergenti, che in molti casi deteniamo nel nostro portafoglio. Si tratta di società di sviluppo minerario che sono riuscite a portare avanti i loro progetti in un contesto di mercato ribassista particolarmente ostico e si profilano ora come produttori ben posizionati in un mercato in via di miglioramento. Degno di nota è soprattutto il fatto che ciascuna di queste società abbia avviato la produzione in tempo e nel rispetto dei limiti di budget. Per queste startup non sono stati segnalati particolari problemi, giacché si avvalgono di collaboratori di straordinario talento e sono riuscite ad acquisire team di alta qualità nei settori dell’ingegneria e dell’edilizia. In prospettiva futura, tali società puntano sull’ottimizzazione, espansione ed esplorazione quali strumenti per contribuire alla crescita della loro attività.

Una società di sviluppo minerario ha dinanzi a sé due strade 1) essere acquisita da un produttore o 2) costruire una miniera. Per gli azionisti sono potenzialmente interessanti entrambe le scelte, a condizione che la miniera in questione si riveli redditizia. In termini storici, la maggior parte dei produttori di grandi dimensioni è cresciuta rilevando altre aziende, anche se tali acquisizioni possono essere costose perché generalmente incorporano un premio. Nel ciclo attuale i produttori stanno finora ricorrendo a un approccio diverso, acquisendo quote azionarie di società in fase di avviamento che ancora non dispongono di risorse, ma che a loro avviso svilupperanno siti di estrazione promettenti. Frattanto, i produttori emergenti potrebbero diventare le aziende del segmento medio e di punta di domani. Alla luce della prevista stagnazione o flessione della produzione delle grandi aziende nei prossimi anni, queste nuove realtà emergenti aiutano a rivitalizzare il settore. Se l’attuale strategia di crescita delle grandi compagnie aurifere non dovesse dare frutti, queste aziende giovani potrebbero diventare l’ambito oggetto di acquisizioni future.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!