Fixed Income: si avvicina la fine di un ciclo?

A cura di Chris Iggo, Chief Investment Officer Obbligazionario, AXA Investment Managers
L’attuale fase di espansione economica è iniziata in un momento buio. Le economie occidentali sono state sull’orlo del baratro finanziario. Il crollo dei prezzi immobiliari, vari fallimenti nel settore bancario e il venir meno della fiducia nel consenso politico alla base del capitalismo democratico hanno portato inevitabilmente a una profonda recessione.
La crisi ha avuto conseguenze pesanti, con una serie di ripercussioni – crisi seriali in Europa, introduzione di nuove regolamentazioni e cambiamenti nel paesaggio politico che hanno indebolito il consenso centrista, sfociando infine nella Brexit, in Donald Trump e in un crescendo di populismo. La crisi e la conseguente recessione sono state così pesanti ed esistenziali che ancora oggi continuano ad esercitare una grandissima influenza sul sentiment degli investitori, dei consumatori e della politica.
A mio avviso, questo spiega perché l’espansione non abbia mai prodotto alcun fattore fiducia, perché si sia continuato a porre l’accento sui rischi di ribasso piuttosto che sul potenziale di rendimento, e perché le banche centrali abbiano avvertito la necessità di continuare a mantenere livelli straordinari di allentamento monetario. Dieci anni fa, al termine del primo trimestre del 2007, il principale tasso d’interesse di riferimento della Fed – il tasso sui Fed Funds – si collocava al 5,25%.
Oggi, trascorsi quasi 7,5 anni di espansione economica, non supera l’1,0%, seppure dopo tre aumenti. Lo shock del 2008 è stato così dirompente che ancora oggi ne avvertiamo gli effetti – il timore di ritrovarci in quella stessa situazione è all’origine dell’attuale diffusa avversione al rischio; siamo oppressi dall’incubo di ripiombare nel baratro a causa di “rischi” come un hard landing della Cina, il crollo dell’euro, una guerra commerciale o peggio.
Si avvicina la fine di un ciclo? Ora che un numero crescente di investitori potrebbe essere in procinto di convincersi della solidità dei dati economici, i più cauti iniziano a prevedere la fine della fase di espansione. Come ho già detto, è già durata a lungo. Assistiamo a numerosi elementi tipici delle fasi avanzate del ciclo, specialmente negli Stati Uniti.
Il tasso di disoccupazione è a un livello che sempre più economisti ritengono prossimo alla piena occupazione (nonostante il basso tasso di partecipazione). L’inflazione sta incominciando a risalire, i tassi d’interesse crescono, il ricorso alla leva finanziaria è aumentato e ci sono segni di valutazioni elevate in diversi mercati finanziari.
Nessuno di questi fattori sembra essere allarmante per il momento ed è stato interessante osservare le reazioni positive dei mercati all’ultimo aumento del tasso sui Fed Funds, considerando che, poco più di un mese fa, l’indicatore di mercato della probabilità di un rialzo dei tassi da parte della Fed era bassissimo. A mio modo di vedere, la Fed tenderà a portare il tasso sui Fed Funds al livello al quale prevede possa arrivare il “tasso terminale”. In base ai “punti” delle proiezioni economiche della Fed, dovremmo arrivare al 3,0% entro fine 2019.
In questo momento la Fed sta facendo un ottimo lavoro, come dimostra il fatto che i rendimenti obbligazionari a lungo termine sono piuttosto stabili. Normalmente la fine di un ciclo economico avviene perché l’inflazione aumenta e i rialzi dei tassi d’interesse sono tali da iniziare a ripercuotersi negativamente sui consumi e sugli investimenti. La crescita rallenta e, solitamente, si arriva a una recessione. Per le ragioni che vi ho illustrato, la Fed farebbe di tutto per evitare una situazione del genere, ed è per questo che si astiene dal passare rapidamente a una politica di inasprimento.
Nessuna fine naturale. I fondamentali e le politiche monetarie inducono a prospettare un proseguimento dell’espansione. Imprese e consumatori hanno mantenuto un approccio prudente per svariati motivi, specialmente in Europa, e un aumento degli “spiriti animali” potrebbe favorire la continuazione della crescita. Tuttavia, nella prospettiva del mercato c’è un elemento di forte preoccupazione – la fine del QE.
Sebbene non siano all’orizzonte eventi drammatici, si parla della possibilità che, nei prossimi due anni, la Fed proceda a una riduzione del proprio bilancio, iniziando probabilmente con la decisione di interrompere il reinvestimento dei flussi finanziari. Molti economisti europei si aspettano che la BCE l’anno prossimo riduca il volume degli acquisti di titoli mensili e c’è qualcuno che parla persino di un aumento del tasso di deposito.
Il programma di acquisto di obbligazioni societarie della Bank of England (BoE) potrebbe concludersi entro la primavera. Una riduzione degli acquisti di asset da parte delle banche centrali avrà di sicuro un impatto sui prezzi delle obbligazioni. Sarebbe il colmo se il processo di allontanamento dalla politica monetaria espansiva in risposta al miglioramento delle prospettive di crescita portasse di fatto a un sell-off degli asset rischiosi.
Avanti! Ad ogni modo, non siamo ancora giunti a questo punto. Tra i commenti sentiti durante gli incontri di questa settimana è stato detto che tutti sanno che il rally finirà male, ma nessuno sa quando o perché. Nel frattempo, il carry sta diventando una importante fonte di rendimenti attesi, in un mercato obbligazionario poco convinto delle oscillazioni dei prezzi nel breve termine. Possiamo soprassedere sulle preoccupazioni immediate riguardo alla Fed fin verso giugno, ed è probabile che Trump continuerà a twittare riguardo agli imminenti interventi di stimolo alla crescita americana.
Il risultato delle elezioni olandesi ha ricontestualizzato il populismo nativista e sono convinto che anche in Francia una vittoria della Le Pen sia poco probabile. Così i mercati potrebbero continuare a fare come nel secondo trimestre, e non ci sono molti elementi che facciano pensare a un indebolimento dei dati economici. La mini ondata di vendite nel segmento US high yield del mese scorso ha risospinto il rendimento dell’indice al 6% e persino il segmento europeo high yield registra ancora rendimenti del 3,5%.
Sui mercati emergenti, il rendimento dell’indice sovrano è al 5,5% e, malgrado il timore di una deriva protezionistica degli Stati Uniti, in termini bottom-up le cose vanno piuttosto bene, con aree in cui è in corso una ripresa, come la Russia e il Brasile, e la Cina che, per il momento, procede in modo stabile. I rendimenti dei titoli sovrani sono molto più bassi e la bilancia dei rischi pende verso un ulteriore miglioramento dei rendimenti. Ma questi non offrono sufficiente protezione in caso di rialzo dei tassi core.

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