Small cap statunitensi di nuovo alla ribalta

A cura di Erik Knutzen, Chief Investment Officer – Multi-Asset Class di Neuberger Berman
L’influente economista tedesco E.F. Schumacher coniò l’espressione “piccolo è bello” nel 1973, nel suo best seller sul rapporto tra uomo e tecnologia. Allievo di John Maynard Keynes, Schumacher ha esplorato il legame tra economia e risorse naturali. Oggi, tuttavia, vorrei appropriarmi della sua espressione per descrivere il punto esatto in cui si trovano attualmente molte piccole società statunitensi.
L’economia USA sta prosperando: i dati su spesa per consumi, nuove abitazioni e occupazione, nonché l’Indice PMI, sono tutti in rialzo nello stesso momento in cui la fiducia dei consumatori e delle aziende sta toccando i massimi di tutti i tempi. Nonostante la delusione in qualche ambiente dovuta al fatto che la nuova amministrazione non è riuscita ad abolire e sostituire l’Obamacare, persistono ancora le aspettative che i piani di deregolamentazione, riforma fiscale e aumento della spesa infrastrutturale imprimeranno slancio all’economia statunitense.
Abbiamo così cercato di individuare le aree più verosimilmente destinate a beneficiare di questa crescita e di tali future iniziative e le società statunitensi a minor capitalizzazione sono finite nel nostro radar.
Cerchiamo di spiegare il motivo. Le società statunitensi più piccole si adattano maggiormente all’economia locale e generano all’estero una percentuale decisamente minore del loro fatturato rispetto alle loro cugine più grandi. Questo consente loro di essere posizionate meglio per beneficiare del contesto economico positivo negli USA. Negli ultimi anni hanno anche sofferto un aumento sproporzionato degli oneri normativi, una cui eventuale riduzione avrà probabilmente un enorme impatto sui loro utili.
Le piccole società tendono inoltre a pagare imposte più elevate delle grandi società perché non hanno il vantaggio di operare in giurisdizioni fiscali internazionali e hanno pertanto maggiori probabilità di beneficiare di una riforma fiscale. Infine, considerati i loro modelli di business incentrati sugli USA, le piccole società tendono a essere meno interessate dall’impatto potenzialmente negativo di un apprezzamento del dollaro.
Rumori fastidiosi. Nelle precedenti Prospettive settimanali del CIO ho parlato dell’importanza di distinguere tra rumori e segnali. Oggi questa distinzione è più importante che mai: guardando oltre i titoloni di prima pagina, gli investitori possono individuare opportunità che riflettono una combinazione di tendenze cicliche positive e fattori di più lungo termine, proprio come le piccole società.
A livello storico, le small cap hanno spesso fornito un buon premio al rischio rispetto ai titoli a capitalizzazione più alta. Tuttavia si tratta di un’asset class molto ciclica che negli anni passati ha registrato risultati deludenti; in questi ultimi periodi il Russell 2000 ha infatti sottoperformato l’S&P 500. Dopo un salutare rimbalzo nel 2016, molti ritengono comunque che la forte performance relativa messa a segno dalle piccole società possa proseguire. I loro utili e le loro valutazioni non sono attualmente eccessivi come quelli delle società più grandi. L’S&P 500 ha infatti continuato a viaggiare ad alta quota quest’anno (+6,31% al 30 marzo), mentre l’indice delle piccole società, il Russell 2000, ha guadagnato soltanto l’1,75%, sempre al 30 marzo. Eppure, come abbiamo spiegato sopra, questo segmento è probabilmente destinato a beneficiare sia del ciclo economico che dei cambiamenti politici.
Una considerazione importante per gli investitori in titoli di piccole società statunitensi è la diversità e la potenziale inefficienza questo universo. Si tratta infatti di un’area oggetto di una ricerca meno approfondita rispetto ai titoli di grandi società, con potenziali divergenze tra i prezzi dei titoli e i fondamentali societari. Inoltre, sebbene molte piccole società abbiano solidi modelli di business, destinati a beneficiare delle dinamiche sopra descritte, una componente significativa dell’universo è rappresentata da società in perdita che sono riuscite a restare a galla grazie ai bassi tassi d’interesse. Man mano che i tassi d’interesse si normalizzeranno nei prossimi anni, vi sarà probabilmente una netta distinzione tra vincitori e vinti.
Infine, le piccole società possono essere obiettivi molto interessanti per operazioni di fusione e acquisizione. Qualora infatti questa robusta attività proseguisse, potrebbe stimolare ulteriormente le performance relative delle piccole società, essendo esse obiettivi molto più probabili rispetto alle società di dimensioni maggiori. Alla luce di tutti questi fattori, l’investimento in titoli di piccole società si presta forse di più a un approccio attivo alla gestione del portafoglio, cercando sia di ottimizzare il potenziale di rendimento che di gestire i rischi di un investimento in quella che può essere una componente di mercato più volatile.
Spostamento dell’attenzione. Il contesto attuale può sembrare confuso: gli investitori cercano infatti di interpretare gli ultimi sviluppi politici affrontando al contempo le problematiche quotidiane della gestione dei loro portafogli d’investimento. Eppure quelli che riescono a distogliere l’attenzione dal rumore e concentrarsi sui fondamentali stanno iniziando a identificare nuove opportunità in settori del mercato poco apprezzati, come le small cap statunitensi. In un contesto post crisi finanziaria globale, in cui le banche centrali hanno trainato la ripresa perseguendo politiche monetarie non tradizionali, sono state favorite le grandi società.
Entrando in una nuova fase del ciclo economico, in cui la crescita economica e i tassi d’interesse si normalizzano e a dominare è la politica fiscale, riteniamo possa essere il momento opportuno per concentrarsi sulla fascia bassa dello spettro delle capitalizzazioni. In sintesi, a nostro parere le piccole società sono da tempo pronte per un rimbalzo. Piccolo può essere davvero bello.

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