Qualche crepa nella tesi reflazione

A cura di Anthony Doyle, M&G Investments

È difficile ricordare un tempo in cui c’è stato così tanto disaccordo sulle prospettive dei mercati delle obbligazioni societarie e degli asset di rischio. Alcuni investitori sono tuttora scettici sul vigore effettivo del rimbalzo e guardano con sospetto all’insolita rapidità con cui i timori di stagnazione secolare sono stati spazzati via dall’elezione dei Donald Trump. Altri, poco inclini a mantenere le posizioni di liquidità o a investire in titoli di Stato a breve scadenza con rendimenti negativi, si sono spostati sui mercati del credito, per paura di perdere l’occasione offerta da un eventuale rialzo dei rendimenti.
Con il rialzo dei tassi deciso dal FOMC in marzo, i dubbi sul prosieguo del tema della reflazione si stanno facendo strada trovando riflesso sui mercati, dove comincia ad affiorare qualche crepa. I grafici di seguito mostrano i primi segnali di allarme per una potenziale inversione della corsa degli asset di rischio.
Prima di tutto, la curva dei rendimenti statunitense si è appiattita nel 2017, con lo spread fra i Treasury a 10 e 2 anni a un livello che non si vedeva dai primi giorni successivi alla vittoria elettorale di Donald Trump. L’inclinazione della curva, ora a 110 punti base, continua a diminuire ormai da quasi tre mesi. Se il movimento verso l’alto nel segmento breve della curva riflette in larga misura il rialzo dei tassi deciso dal FOMC e l’inflazione più elevata, l’ostinazione del rendimento sulle scadenze decennali, in ascesa dalla fascia 2,30-2,60%, suggerisce aspettative a lungo termine ancora modeste sia per la crescita che per l’inflazione.
In secondo luogo, la correzione scattata sull’high yield statunitense è un fatto insolito per questo periodo dell’anno. Uno sguardo ai rendimenti stagionali mediani su 5, 10 e 20 anni rivela che in genere il mercato high yield USA va piuttosto bene fra maggio e giugno, prima di sviluppare una tendenza a movimenti laterali fino alla fine dell’anno. Guardando all’andamento stagionale su 5 anni, il mercato tende a toccare il fondo ogni due mesi, da giugno fino a ottobre, per poi rimbalzare verso fine anno. Mi sono già occupato di questo fenomeno qui.
Infine, lo yen si è rivelato a sorpresa la valuta più performante, tra quelle del G10: nel primo trimestre del 2017, ha guadagnato infatti il 5% nei confronti del dollaro USA e il 2,5% in base al tasso di cambio effettivo reale. L’andamento del cambio USD/JPY è riconducibile principalmente agli sviluppi interni agli Stati Uniti, dove il fallimento della riforma sanitaria ha fatto sorgere qualche dubbio, sui mercati valutari, riguardo alla capacità di Donald Trump di realizzare il suo programma di spesa pubblica, provocando un declino del dollaro. Contestualmente, gli investitori giapponesi hanno liquidato ampie posizioni in obbligazioni estere, in vista della chiusura dell’anno finanziario.
Nonostante l’apprezzamento dello yen nel primo trimestre, la maggior parte dei professionisti delle previsioni continua ad aspettarsi una flessione della valuta giapponese contro il dollaro, dato che il differenziale fra i tassi d’interesse di Giappone e Stati Uniti dovrebbe ampliarsi. Si prevede infatti che la Banca del Giappone (BoJ) confermi la politica di controllo della curva dei rendimenti, mentre la Fed dovrebbe procedere con i rialzi dei tassi. Tuttavia, ci sono diversi motivi per ipotizzare una revisione di queste aspettative sulla politica monetaria nipponica.
Innanzitutto, l’economia giapponese sta andando bene e la ripresa dell’attività industriale è confermata dai dati. Secondariamente, il mercato del lavoro è estremamente rigido, con un tasso di disoccupazione di appena il 2,8%, un dato promettente per l’espansione dei salari e dei consumi in prospettiva, che fa presagire un aumento della spesa in beni durevoli. Terzo, la politica fiscale dovrebbe rivelarsi leggermente espansiva nel 2017, con interventi di spesa focalizzati su investimenti pubblici e trasferimenti di contanti alle famiglie.
Infine, i settori giapponesi orientati all’esportazione confermeranno l’andamento positivo, considerando la svolta al rialzo nel ciclo dicrescita globale e la domanda ancora vigorosa proveniente da Cina e Stati Uniti. Molto probabilmente la BoJ reagirà al miglioramento delle prospettive economiche innalzando l’obiettivo per i rendimenti obbligazionari a lungo termine dallo 0% allo 0,1-0,2% nel corso di quest’anno. Di fronte a una tendenza positiva mondiale intatta e a un’accelerata dell’inflazione dovuta all’aumento dei salari, la BoJ potrebbe essere la sorpresa del 2017 su fronte delle banche centrali.
Guardando avanti, è probabile che l’attenzione dei mercati obbligazionari continuerà a concentrarsi sui rischi politici internazionali. Le elezioni in Francia e la capacità del presidente Trump di realizzare il suo ambizioso programma politico sono destinate a generare oscillazioni a breve termine dei rendimenti offerti dalle obbligazioni. Nonostante ciò, le solide prospettive di crescita dell’economia mondiale suggeriscono una certa cautela sui mercati dei titoli di Stato per il secondo trimestre, sia negli Stati Uniti che in Europa.
Nello specifico, il mercato statunitense sottovaluta la possibilità di una Fed più aggressiva e di un rialzo dell’inflazione interna. In Europa, alla luce dell’ambiente macroeconomico in miglioramento e dell’inflazione in ascesa, la Banca centrale europea potrebbe considerare un cambio di registro sugli interventi futuri e valutare concretamente l’avvio di un tapering più deciso, che spingerebbe i tassi verso l’alto nel segmento lungo con conseguente inclinazione della curva dei rendimenti.
Se buttiamo nella mischia anche la possibile sorpresa BoJ, all’improvviso vedremmo le tre banche centrali principali ritirare gli stimoli a un ritmo più rapido di quello previsto in precedenza. Se questo tipo di scenario dovesse concretizzarsi, è difficile immaginare che gli asset di rischio come l’high yield possano continuare a generare i rendimenti di cui gli investitori hanno beneficiato dall’indomani del risultato elettorale negli Stati Uniti.

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