Oro nero, è ancora periodo di saldi

A cura di Stephen Jones, Chief Investment Officer di Kames Capital
Petrolio in risalita? Il rimbalzo è altamente improbabile. Questa l’opinione di Stephen Jones, Chief Investment Officer di Kames Capital, secondo cui l’eccesso di offerta e i metodi sempre più avanzati di estrazione sembrano destinati a tenere sotto pressione i prezzi delle materie prime e per un lungo periodo di tempo. In particolare, lo scorso mese il petrolio ha subito un vero e proprio crollo, con il prezzo del Brent che ha ceduto oltre il 10%, passando dai 56 dollari al barile di inizio marzo a meno di 50 dollari, per poi risalire.
Responsabile del tonfo è stato il rimbalzo delle scorte, dovuto a un’impennata della produzione statunitense, insieme al nuovo posizionamento degli hedge fund. La caduta, per alcuni operatori, è da considerarsi sporadica, in quanto questi ritengono che i fattori scatenanti siano di natura temporanea e destinati ad esaurirsi. Al contrario, secondo Jones, il potenziale per un aumento significativo dei prezzi delle materie prime appare molto limitato, complice il radicale cambiamento subito dalla congiuntura petrolifera sia a livello di domanda sia di offerta.
“Avendo superato la fase di recessione, le società statunitensi specializzate in esplorazione e produzione di petrolio e quelle concentrate sull’olio di scisto sono ora in grado di operare in un contesto caratterizzato da quotazioni petrolifere inferiori”, ha osservato l’esperto. “Questo indica che c’è stata una diminuzione dei costi strutturali di estrazione, soprattutto grazie ai significativi miglioramenti tecnici in fase di produzione; di conseguenza i prezzi del petrolio resteranno più bassi di quanto si possa comunemente pensare”.
Un processo produttivo più efficiente si è tradotto quindi in un’offerta più abbondante. Le statistiche mostrano che l’offerta petrolifera è volata alle stelle da quando gli Stati Uniti hanno rivoluzionato la produzione di shale oil, fattore che ha portato il prezzo del Brent ad una caduta verticale rispetto ai 100 dollari e più al barile raggiunti in precedenza. Al contempo, la domanda non è riuscita a tenere il passo della controparte: pur avendo recuperato dai minimi di inizio 2016, la richiesta globale risulta ora a 97,89 milioni di barili al giorno, al di sotto dei 98,29 milioni di barili dell’offerta globale.
Un disequilibrio temporaneo? In realtà è destinato a rafforzarsi. Mentre non si prevede un’impennata della domanda per oltre un decennio, Jones rincara la dose: la sempre maggiore attenzione a livello globale per il risparmio energetico ne limiterà ulteriormente il fabbisogno. “In un mondo che sta diventando sempre più consapevole di come utilizza l’energia petrolifera, la ricerca di fonti energetiche alternative è diventata ormai un’esigenza imprescindibile.”

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