I danni della consulenza

Una consulenza finanziaria scorretta produce danni economici significativi. Lo studio di Evers and Jung del 2008 per il ministero tedesco dei consumatori ha stimato che essa genera un danno agli utenti di 20-30 miliardi di euro, ogni anno. Il fenomeno è rilevante e le norme cogenti non hanno consentito (Mifid) e non consentiranno (Mifid 2) di risolvere il problema: una consulenza, anche se conforme, può violare comunque il principio etico di agire secondo “il miglior interesse del cliente”.
Ma quali sono le cause e le responsabilità dei comportamenti consulenziali scorretti? Vi sono diverse tesi, ciascuna funzionale per chi la propone, dove una parte incolpa le altre utilizzando un facile disimpegno morale: il dislocamento delle responsabilità. Per esempio gli intermediari sono additati per le politiche commerciali scorrette. I consulenti per l’insufficiente preparazione e per fare il proprio interesse. Le autorità di controllo per un’inefficace vigilanza. E anche ai clienti si imputano responsabilità, per le richieste irragionevoli e la scarsa competenza finanziaria.
In realtà ogni comportamento scorretto è generato sinergicamente da almeno 3 cause, come dimostra la ricerca del 2010 di Kish-Gephart. Analizzando 136 studi svolti in 30 anni si è concluso che le scelte e i comportamenti non etici possono essere spiegati solo in termini tridimensionali. Che nel nostro caso sono: 1) il grado di sviluppo del ragionamento etico del consulente; 2) il contesto, normativo o della situazione specifica consulenziale; 3) il tipo di clima etico dell’organizzazione. Dunque, in presenza di un comportamento immorale, nessuno può chiamarsi fuori e, per migliorare la situazione, ciascuno dovrebbe interrogarsi sulle proprie responsabilità e su ciò che non sta facendo per contrastare tali fenomeni.

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