Per professionalità si intende l’identità, lo status, le attività e gli standard attesi da un professionista che per questo tende a concepirsi competente, esperto e di successo. Generalmente si associano a queste qualità anche elevati standard etici, con i quali operare nel miglior interesse del cliente. Tuttavia numerosi studi (Kouchaki, 2012, 2014), contrariamente a queste credenze, indicano che all’incremento dell’autopercezione di professionalità corrisponde un aumento di comportamenti immorali nelle proprie attività lavorative. Le ragioni sono diverse, ma la principale è quella del tipo di concezione che si ha della professionalità. Infatti se essa è intesa in termini razionali, impersonali e legalistici allora è intrinsecamente amorale, in quanto emotivamente distaccata dal processo decisionale etico che dovrebbe essere un elemento fondante di ogni tipologia di professione. Inoltre tale neutralità morale genera effetti particolarmente acuti con gli individui con forte identità di professionista, generando così una licenza morale che si basa sulla convinzione: “Sono un professionista, non prenderei mai una decisione contro il miglior interesse del cliente”. Questi studi forniscono ulteriore supporto al fenomeno dell’eticità limitata (Banaji, Bazerman, & Chugh, 2003) e indicano che il comportamento non etico è dovuto anche a processi psicologici inconsapevoli che portano gli individui a comportarsi sistematicamente in maniera eticamente discutibile. A fronte di ciò occorrerebbe che le associazioni professionali fossero consapevoli che una impostazione amorale dei programmi formativi può generale tali effetti. Dunque sarebbe necessario sostenere i singoli professionisti nello sviluppo della cultura dell’integrità e del ragionamento morale.