Capitali, fuga razionale

L’uscita di capitali e l’abbandono di investimenti esteri in Italia tra gli anni ’70 e il ’95 avevano una cadenza statistica quasi triennale, con effetti regressivi sul valore della lira. Il ritmo si era attenuato fino al 2011 con una combinazione virtuosa tra minori esportazioni e crescenti investimenti di soggetti istituzionali internazionali.La preoccupazione sorge ora per i 76 miliardi di flussi netti degli ultimi due mesi, e per il rischio che tale ritmo prosegua a causa del clima di incertezza, più che per effetto di dati macroeconomici. Il desiderio di volatilità degli investitori istituzionali sembra aver ritrovato campo nel comparto obbligazionario italiano, mentre in quello azionario risultano invece attenuati gli scambi più che i movimenti dei prezzi. Valori più contenuti riguardano invece i deflussi nel debito bancario e negli investimenti nelle imprese. Possiamo affermare che il timore maggiore riguarda la spesa pubblica e il suo finanziamento, quello latente resta l’intervento della Bce, notoriamente in via di riduzione. Lo spread è raddoppiato rapidamente, poi è rimasto più fermo senza arrestare il deflusso, anzi favorendolo essendo limitate le perdite realizzate con le vendite. L’unico contrasto è costituito dagli acquisti delle banche italiane (il maggiore dopo la crisi 2011-12), peraltro senza i vantaggi derivanti allora dal basso livello dei prezzi che consentiva rapide plusvalenze. Tutti fattori che devono essere monitorati in autunno perché detteranno i comportamenti degli investitori, pronti ad accrescere il ritmo in uscita, in caso di giudizio negativo o, forse, ad arrestarsi nell’ipotesi
di una legge di bilancio equilibrata. Nessun complotto all’orizzonte, solo razionalità delle scelte di tutti.

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