Quel brutto pasticciaccio

La vicenda della presidenza della Consob si è chiusa nel modo meno peggiore possibile, ma la sua genesi è stata la quintessenza di quanto di peggio si potesse fare. Comunque la si pensi, nessuno dei protagonisti ne esce bene. Il cittadino, che è spesso risparmiatore e investitore, si domanda con quale artifizio giuridico sia stato possibile che un “comandato” da un’autorità europea potesse essere qualificato autonomo. E ancora, come è avvenuto che una simile macroscopica situazione d’incompatibilità sia passata al vaglio di tante autorità senza che alcuno rilevasse il problema. Se tale è la competenza giuridica di questi organi non c’è da stare tranquilli, anzi è lecito dubitare dell’efficacia dell’attività di controllo che costoro possano attuare. Quantomeno non tutti hanno dato prova delle
necessarie indipendenza e autorevolezza. Precisiamo che qui si parla dell’autonomia del presidente dimissionario, non della sua competenza, che nessuno ha messo in discussione. Dobbiamo proprio ritenere che gli enti nazionali siano solo una longa manus delle autorità comunitarie, senza alcuna possibilità d’intervento che non sia la supina applicazione dei loro diktat? In parte è così, ma solo per l’applicazione delle norme, non per tutto il resto. È molto grave, se ciò corrisponde a verità, che il comando sia stato concesso o, forse più propriamente, ordinato nell’interesse della Commissione europea. Il presidente della Consob non deve fare gli interessi della Commissione, ma degli investitori nel mercato italiano degli strumenti finanziari. È stato un gesto di grave arroganza della burocrazia europea comandare un suo funzionario nel proprio interesse a presiedere un’autorità nazionale.

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