Consulenza indipendente, tanto tuonò che non piovve

Novantaquattro consulenti finanziari autonomi e tredici società di consulenza finanziaria risultano iscritti al nuovo Organismo dei consulenti finanziari (Ocf) che dall’1 dicembre scorso ha iniziato anche l’attività di vigilanza. Può darsi che questi numeri siano destinati a salire, ma si ha l’impressione che la montagna abbia partorito un topolino o, per usare un’altra metafora, che tanto tuonò che non piovve.

Fin dagli scorsi anni avevamo la sensazione che sulla questione dei “consulenti finanziari” come li chiamava il vecchio Regolamento, cioè i cosiddetti “indipendenti”, si stesse montando una questione spropositata, sia in termini di aspettative sia di approccio “ideologico” al tema della diffusione dell’attività di consulenza finanziaria in Italia. Non tanto perché in sé sbagliata, quanto perché inserendola nel contesto italiano ed europeo, sembrava essere abbastanza velleitaria. Il sistema italiano è notoriamente bancocentrico e pensare che la consulenza indipendente potesse scardinare questo assetto era ed è, appunto, inverosimile. Sappiamo bene quanto sia stato difficile affermare (e il cammino è ancora lungo) la figura del promotore finanziario prima e del consulente abilitato al collocamento poi, e quanto in questi ultimi tempi il sistema-banche stia adottando proprio il modello di business delle reti. Inoltre il quadro normativo europeo con le direttive Mifid – sia la prima che la seconda – ha rafforzato, in chiave dirigista, tutto ciò che riguarda gli ambiti della tutela e della trasparenza, almeno formalmente e questo si è riverberato anche sui nuovi operatori (autonomi e società), attraverso un carico di adempimenti, costi e requisiti che probabilmente hanno anche scoraggiato nuovi ingressi e su quelli che sono rimasti sul mercato in questi oggettivamente lunghi dieci anni e che oggi forse lasciano l’attività o la continuano abusivamente. Ancora, la stessa definizione di “prestazione del servizio di consulenza su base indipendente” utilizzata dal legislatore amplia la possibilità di esercitarla, a certe condizioni, anche alle banche, sim o reti attraverso i propri consulenti. Il fatto che ancora questa modalità sia poco diffusa non vuol dire che non lo sarà in futuro, perché le attuali limitazioni di predisporre due reti distinte certo non incentiva gli intermediari a costituirle separate al proprio interno.

C’è anche una questione di sostenibilità economica da considerare, con la diminuzione dei margini che, indipendentemente dal modello utilizzato, si abbatte anche sulle prospettive di redditività di una professione svolta in autonomia, rispetto alla presenza di intermediari abilitati. Infine, a fronte dei numeri citati fa sorridere la pervicacia di certa stampa specializzata a farsi paladina degli operatori fee-only, invece di rafforzare, attraverso la valorizzazione delle best practice sul mercato, la figura, il ruolo e l’immagine del consulente finanziario abilitato al collocamento e al fuori sede come la vera novità nel campo dei prodotti e dei servizi finanziari. Ci sarebbe anche da accennare all’eccessiva enfasi posta sul tema del conflitto di interessi, mal posto, non tanto in sé come questione di principio, quanto perché ritenuto superato dalla configurazione dell’indipendenza, più formale che sostanziale. Il conflitto di interessi è già normato e va correttamente gestito nell’interesse del cliente e su questo tutta l’industria deve impegnarsi.

Editoriale tratto dal numero di gennaio del mensile Bluerating

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