È il capitalismo, bellezza

Al momento in cui scriviamo (come si diceva una volta) infuria la lotta per Mediaset tra Vivendi di Vincent Bolloré e la Fininvest della famiglia Berlusconi. Un attacco in piena regola da parte del finanziere bretone a una delle aziende simbolo italiane che ha fatto urlare allo scandalo molti benpensanti della finanza. “Mediaset va difesa in quanto azienda strategica”, ha detto più di un politico e ha titolato più di un giornale. È possibile sull’onda di questo leit motiv che possa intervenire anche il governo utilizzando alcuni commi della legge Gasparri sull’emittenza tv. I primi a difendere la loro azienda dovrebbero essere i proprietari, magari assicurandosi il controllo con il 51% e non facendo sempre le cose all’italiana pensando di comandare con una partecipazione di maggioranza relativa (nel caso poco più del 40%) come sta facendo la Fininvest. Bolloré ha tirato fuori i “dané”, come dicono a Milano, e ha cominciato la sua scalata in Borsa: d’altra parte Mediaset è quotata e a cosa serve la quotazione, solo a far staccare dividendi agli azionisti? Dal momento che sei in Borsa sei pubblico e quindi soggetto agli interessi di altri. Ma lasciamo perdere Mediaset con ragionamenti che rischiano di appartenere al passato. Piuttosto chi si è curato finora delle centinaia (mille negli ultimi 5 anni) di imprese italiane che sono finite in mani straniere? E non si tratta di bruscolini. Alcuni nomi? Indesit, Gucci, Parmalat, San Pellegrino, Bottega Veneta, Krizia, Avio, Bulgari: la lista è lunghissima. Ma queste aziende non sono state predate dallo straniero bensì pagate profumatamente, diverse volte l’ebitda, e alcune sono state sviluppate verso ulteriori soglie di eccellenza come San Pellegrino o Bottega Veneta. Altre invece sono state depredate da sedicenti manager italiani che le hanno spolpate fino all’osso. E allora se si accettano le regole del capitalismo c’è poco da piangere. Se ne vanno i cervelli migliori e le proprietà delle aziende migliori. È il mercato, bellezza.

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