Tfr in busta paga? La pensione complementare scende fin del 30%

Decidere di avere il Tfr in busta paga? Potrebbe rivelarsi la mossa sbagliata e ridurre l’assegno integrativo del 10% ma la penalizzazione può sfiorare anche il 30%.

I CALCOLI NEGLI ESEMPI – Nei calcoli effettuati da Il Sole 24 Ore, si è ipotizzato che il lavoratore destini l’accantonamento di Tfr al fondo pensione a partire dal 1° gennaio 2015 e per 15, 25 o 35 anni. La prestazione finale è stata confrontata con quella che il lavoratore otterrebbe qualora decidesse di ricevere dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 il relativo Tfr in busta paga, determinando così una temporanea mancata contribuzione nella sua storia previdenziale.

IL TAGLIO DELL’ASSEGNO – La riduzione percentuale più contenuta (pari a circa il 12%) si verifica qualora il dipendente sia iscritto al fondo pensione per 35 anni e il programma ottenga dall’investimento del patrimonio un tasso di rendimento del 2% annuo in termini reali (cioè al netto dell’inflazione). Viceversa al crescere del tasso annuo di rendimento e per periodi di iscrizione più contenuti la riduzione della prestazione può giungere a livelli ben più elevati (fino a quasi il 30%). Un impatto simile si verifica anche nel caso in cui il lavoratore decida di lasciare il Tfr in azienda, anche se in questo caso la penalizzazione risulta più contenuta.

L’ANTICIPO – Un’alternativa interessante per chi volesse far fronte alle spese primarie di breve termine, conclude il quotidiano, sarebbe quella di chiedere un’anticipazione delle prestazioni maturate. Tutti gli iscritti a un fondo pensione, infatti, con almeno otto anni di contribuzione, hanno la possibilità, in assenza di motivazioni specifiche, di poter richiedere in qualsiasi momento sino a un massimo del 30% della posizione accumulata. Il vantaggio? Mentre il Tfr in busta paga sarà, infatti, tassato come reddito da lavoro dipendente, sulla base, cioè, dell’aliquota marginale personale, l’anticipazione risulterà imponibile a un’aliquota pari al 23%

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